Le donne non sanno che farsene delle mimose
“…quell’interessante e oscuro complesso maschile…. quel profondo desiderio, non tanto di dimostrare che lei è inferiore, quanto di provare che lui è superiore”.
Una Stanza tutta per sé Virginia Woolf
Adesso che le luci si sono spente sulla festa dell’8 marzo, perché di questo si tratta: solo di una festa con cui lavarsi la vesti pubblicamente e non di una commemorazione che contribuisca in modo sostanziale a una reale emancipazione femminile, che cosa resta?
Solo un cumulo di ipocrisia!
La quotidianità ha ripreso ad avvolgere le vite di tutti e si è ritornati alla solita e inutile antitesi, da un lato gli uomini tacciati di maschilismo, dall’altro le donne additate come femministe invasate, e si perde di vista l’essenzialità della questione. Non si tratta di una lotta ma di cambiamento culturale che porti a non considerare come prioritarie le differenze ma che ponga l’attenzione sugli uguali diritti degli individui indipendentemente dal genere di appartenenza.
Un cambiamento a cui tutti dovremmo partecipare senza distinzione di genere, in modo da abbattere stereotipi e pregiudizi comuni, che però, nella quotidianità, si scontrano con l’indifferenza di chi ritiene che non sia un problema e con la meschinità di molti maschi, non uomini, che in questa loro presunta superiorità trovano una propria banale affermazione.
Noi donne non sappiamo che farcene dei mazzi dei fiori di mimosa, che ci vengono offerti con un bel sorriso stampato sulla faccia come se fossimo delle bamboline con cui giocare per un giorno, a noi donne non bastano le belle parole pronunciate con enfasi nelle manifestazioni organizzate immancabilmente ogni anno, se poi dobbiamo costantemente dimostrare di essere sempre all’altezza, di essere sempre le migliori, schiave di “quell’onere occulto” citato dal nostro presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso in occasione dell’8 marzo.
Una festa, che non serve a nulla se non è accompagnata da una reale e generale sensibilizzazione sociale e da una efficace azione politica che riduca concretamente il divario tra i due generi.
Ma sono decenni che la nostra politica non fa nulla o non abbastanza.
Lo sconto sui contributi delle madri, introdotto con la legge di Bilancio, non ha risolto la gravissima problematica che coinvolge migliaia di donne lavoratrici, ponendo il limite dei due figli, escludendo quelle a tempo determinato che sono proprio quelle più a rischio.
Per non parlare dell’inefficacia del tanto declamato bonus asilo nido.
Una sorta di contentino per illudere i più ingenui, poiché un simile incentivo acquista efficacia solo se coadiuvato da adeguate strutture pubbliche,
Peccato che però nel nostro Paese ce ne siano davvero poche.
Secondo un’indagine Istat solo il 28 per cento dei bambini riesce a trovare posto in un asilo nido pubblico e la percentuale scende di molto al Sud.
Di conseguenza migliaia di donne si sono ritrovate di fronte al solito bivio: lavoro o famiglia.
Si calcola che oltre 2,8 milioni di donne non possono lavorare per motivi familiari mentre gli uomini che non lavorano per lo stesso motivo sono appena 120 mila.
Dati che da soli evidenziano in modo chiaro l’ipocrisia di una politica che, da anni, elargisce solo belle parole.
Il Gender Gap è tutt’altro che superato soprattutto in ambito economico, in cui tuttora, nonostante la recente attenzione, nessuna vera riforma ha equiparato la retribuzione economica tra i due generi.
A parità di mansioni, una donna riceve, uno stipendio inferiore a quello del collega uomo.
Il divario è acuito non solo dalla questione retributiva, ma anche dal differente ruolo lavorativo che le donne ricoprono. Secondo una recente ricerca condotta dal Centro Studi Enti locali, si evince che nonostante le donne laureate siano quasi il doppio dei loro colleghi maschi, i ruoli al vertice di prestigio e responsabilità sono affidati a molti più uomini che a donne.
Le donne non sanno che farsene della festa dell’8 marzo, se le disparità le penalizzano in ogni aspetto della loro vita, se devono essere beffate da una politica che si erge a difensore dei diritti di tutti gli individui e che poi le punisce per il solo fatto di essere donne, aumentando l’IVA sugli assorbenti.
Le donne non sanno che farsene delle mimose se poi i loro uomini le vessano psicologicamente, le prevaricano fisicamente e le uccidono quando osano imporsi come individui liberi e pensanti.
E fino a quando ci saranno maschi, non uomini, che si sentiranno in diritto di svilirci e di zittirci pubblicamente come fatto dal consigliere D’Imperio durante il consiglio comunale a Corato, che non si è posto alcuna remora a dire “stai zitta” a una consigliera della sua stessa maggioranza, non riusciremo a superare questa vergognosa e anacronistica disparità che, alla fine, umilia tutti in quanto le incapacità politiche insieme all’ indifferenza sociale privano tutti delle inviolabili libertà democratiche.