“Black Comedy”, elegante ed efficace verve umoristica tipicamente anglosassone
In scena, al Teatro Vitaliano Brancati di Catania, la pièce comica in un atto: “Black Comedy” di Peter Shaffer. Traduzione: Enrico Luttmann, regia: Nicasio Anzelmo, musiche: Matteo Musumeci, scene e costumi: Vincenzo La Mendola, produzione: Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale. Personaggi e interpreti: Brindsley Miller – Giovanni Rizzuti, Carol Melkett – Lucia Portale, Miss Furnival – Maria Rita Sgarlato, Col. Melkett – Filippo Brazzaventre, Harold Gorringe – Franco Mirabella, Schuppanzigh – Claudio Musumeci, Clea – Anita Indigeno, Georg Bambergher miliardario collezionista d’arte – Francesco Rizzo.
Umorismo in salsa anglosassone è stata definita la commedia degli equivoci e degli errori di Shaffer; ma io aggiungerei in salsa latina, anzi plautina, a conferma della continuità dell’arte (mutatis mutandis) nei secoli.
L’autore, Peter Shaffer (1926-2016), è nato a Liverpool (il fratello gemello, Anthony fu anch’egli scrittore e autore teatrale), ha studiato Storia alla Cambridge University, e ha svolto i più strani lavori prima della sua vocazione drammaturgica caratterizzata da, si è detto, ‘una miscela tra filosofia, analisi psicologica e commedia satirica’.
La sua prima commedia risale al 1954; poi fu una pioggia di premi: Evening Standard Drama Award (1959), ancora Evening Standard Drama Award e il Theatre Critics Award (1973), il Tony Award for Best Play e il New York Drama Critics Circle Award (1975). Molti suoi lavori sono diventati film di successo: con ‘Amadeus’ vinse otto premi Oscar, incluso quello come “Miglior Film” (1984).
Scritta nel 1965 e portata in scena, con plauso di pubblico e critica, a Londra e Broadway ‘Black Comedy’ giunse per la prima volta in Italia al Teatro Eliseo di Roma nel 1967, per la regia di Franco Zeffirelli e con Giancarlo Giannini e Anna Maria Guarnieri come protagonisti.
La pièce inizia con un gioco di luci: il teatro è completamente al buio e, dopo pochi minuti, in seguito a un guasto elettrico si rovescia la situazione: le luci del palco si accendono per consentire la visione al pubblico, anche se per i personaggi l’appartamento è e resta nell’oscurità con tutte le conseguenze del caso.
Con elegante ed efficace verve umoristica tipicamente anglosassone la trama ruota attorno ad un giovane artista spiantato, Brindsley Miller, e alla sua fidanzata Carol che aspettano la visita del padre di lei, e quella di un miliardario collezionista tedesco, un possibile acquirente.
Per far bella figura i due ‘prendono in prestito’ l’arredamento del raffinato vicino antiquario in vacanza.
Ma… l’appartamento dopo l’arrivo del rigido e irascibile colonnello (il futuro suocero) si affolla.
Giungono nell’ordine: la zitella del piano di sopra terrorizzata dal buio, puritana ma ancora speranzosa di possibili risvolti esistenziali, il vicino antiquario gay (attratto da Brindsley) rientrato in anticipo, l’ex fidanzata dell’artista, Clea, ignara della nubenda rivale, un operaio della compagnia elettrica che con il suo accento tedesco è scambiato per il ricco collezionista.
E alla fine il vero miliardario che, inatteso e non riconosciuto, viene accolto a bastonate.
Mentre il vicino, il colonnello e Carol avanzano minacciosamente verso Brindsley e Clea, l’elettricista riesce a riparare il guasto e riaccende la luce facendo sprofondare il teatro nell’oscurità.
Nell’intervista che i protagonisti ci hanno concesso, il regista Nicasio Anzelmo sottolinea come il buio è significativo perché consente alla parte umana, ai personaggi, di far venire fuori i conflitti, i legami, le fratture.
Il buio raddoppia, amplifica le motivazioni psicologiche.
Tratteggiando il suo personaggio (Brindsley, il giovane artista), Giovanni Rizzuti osserva come nel tentativo di agganciare il critico/possibile acquirente l’azione si muova attorno a lui; deve tener testa a tutti gli altri…ma fallisce.
Maria Rita Sgarlato confessa di essersi divertita a interpretare la zitella perbenista (ma non troppo), ingabbiata dai complessi trasmessi dal padre pastore metodista: la voce forzatamente gentile nasconde i suoi traumi e i desideri inconfessati.
Magnificamente interpretato da Filippo Brazzaventre, il colonnello -dice l’attore- piomba in un caos inaccettabile per un militare, in questa che più che commedia è una farsa recitata con una compagnia (è il terzo spettacolo insieme) molto affiatata.
Impegnativo definisce Anita Indigeno il ruolo della seduttiva e dispettosa Clea che mette l’ex fidanzato di fronte alla complessa realtà che lui cercava di coprire.
Per Franco Mirabella, il vicino antiquario, l’amico ‘molto intimo’ dell’artista, che egli interpreta mette in luce quell’ipocrita conformismo degli anni Cinquanta, quel puritanesimo inglese che aleggia sulla scena dicendo l’indicibile.
Per Claudio Musumeci lo spettacolo di stasera è la tipica commedia frizzante dell’humour inglese.
“Si tratta – conclude il regista – di una farsa corale e rocambolesca…che crea situazioni esilaranti e a tratti imbarazzanti. La pièce porta quel timbro leggero e tipico della commedia anglosassone con situazioni paradossali e comportamenti bizzarri che si innescano a partire da un primo equivoco. Posso assicurare che è un testo di raffinato divertimento sia per il pubblico sia per noi che lo mettiamo in scena”.
Attraverso questa farsa corale, recitata “alla cieca”, Shaffer ha forse voluto suggerirci la metafora di un’umanità che annaspa a tentoni e a spinte, tra equivoci, scheletri nell’armadio e verità non dette: un piccolo inconveniente può far emergere il lato più oscuro.
Al buio non ci sono maschere da indossare…nessuno ci vede…l’essere prende il sopravvento sull’apparire!
Foto e video di Lorenzo Davide Sgrois