Commemorare la Shoah non basta
Noi che viviamo nella tranquilla sicurezza delle nostre case e che ogni sera abbiamo un pasto caldo a tavola, parafrasando i primi versi della poesia “Se questo è un uomo” di Primo Levi, noi che siamo così solerti a commemorare ogni anno la Shoah con solenni manifestazioni, non appena si spengono i riflettori e non abbiamo più bisogno di dimostrare quanto siamo inclusivi, ritorniamo alla tipica contraddittorietà che tanto ci contraddistingue. Ripresa la nostra superficiale quotidianità reiteriamo, con una naturalezza disarmante, proprio quei comportamenti prevaricanti che abbiamo appena condannato e senza alcun senso di colpa dedichiamo tutte le nostre forze alla nostra smania di sopraffazione dell’altro.
Come se le conseguenze nefaste della ferocia razziale nazista verso gli Ebrei fossero solo un capitolo della nostra memoria oramai concluso che non ci riguarda più.
E invece noi, non facciamo altro che continuare a tenere ostinatamente aperte le pagine di quel capitolo tutte le volte che ci arroghiamo la pretesa di considerarci superiori.
Tutte le volte che presuntuosamente ci ergiamo al di sopra di un nostro simile, ci trasformiamo in persecutori, tutte le volte che imponiamo la nostra cultura in nome di una presunta preminenza, schiacciamo e sviliamo chi non vi appartiene e tutte le volte che respingiamo chi ha un modus vivendi differente dal nostro, lo releghiamo in un angolo della società come se non fosse un uomo.
Non c’è alcun bisogno di uccidere fisicamente l’altro, per essere colpevoli.
Lo facciamo con la prepotenza delle nostre parole e dei nostri gesti, però non ne siamo minimamente turbati e andiamo a letto ogni sera sentendoci con la coscienza a posto e pertanto dormiamo sonni beatamente tranquilli.
Ogni sera dovremmo guardarci allo specchio e dovremmo chiederci se noi, esseri umani dei tempi presenti, siamo veramente degni di questo nome o se siamo ancora carnefici gli uni per gli altri anche se in modo differente dal passato ma ugualmente feroce.
Prigionieri dei luccichii della materialità non siamo più in grado di comprendere lo strazio disumano che urla dietro ai terribili versi di un sopravvissuto quale è stato Primo Levi e nemmeno l’intensità del dolore vissuto da milioni di vittime innocenti. Per questo non siamo più capaci di capire che possiamo provocare ancora sofferenza agli altri anche se non impugniamo concretamente un’arma.
Ricordare la Shoah è diventato un atto dovuto, un modo per salvaguardare la nostra immagine pubblica, che poi è l’unica cosa che ci interessa veramente, applaudiamo alle commoventi testimonianze dei sopravvissuti, ma non ascoltiamo veramente le loro parole, non le interiorizziamo, per noi sono solo belle parole senza alcun risvolto nella nostra vita di tutti i giorni.
Così, non ci accorgiamo che, in fin dei conti, non siamo tanto diversi dagli uomini che abbiamo condannato a gran voce perché continuiamo imperterriti ad alzare muri di diversità.
Questa è la nostra prima e unica preoccupazione come se essa sia il solo modo per assicurarci un posto a questo mondo.
In nome di pregiudizi polverosi puntiamo il dito contro chi riteniamo diverso e escludiamo senza troppe remore, tacciando di inferiorità.
Nessuno si salva, tutti ne siamo schiavi!
Ogni giorno costruiamo immensi lager, non solo nella realtà vissuta ma anche virtuali sui social, all’interno dei quali imprigioniamo chi non riteniamo degno di viverci accanto, all’interno dei quali non si muore ma si viene privati della dignità di uomini solo per una nostra affermazione.
“Considerate se questo è un uomo… che muore per un sì o per un no” ha scritto Primo Levi.
Abbiamo trasformato l’esistenza altrui in inferni quotidiani così come l’inferno vissuto dai milioni di deportati.
Ma soprattutto noi continuiamo a uccidere l’altro tutte le volte che ci voltiamo dall’altra parte con indifferenza.
Essa ci aliena gli uni dagli altri e ha le stesse conseguenze di un colpo di pistola sparato a bruciapelo.
Con la nostra indifferenza abbiamo permesso che vergognosi principi di razza continuassero a vivere e che in nome di questi, si siano vantati presunti diritti di superiorità etnica e siano stati uccisi civili indifesi.
Non serve a niente celebrare giornate contro le persecuzioni se poi si permette ai nostri governi di continuare a inviare armi per massacrare donne e bambini indifesi, governi che, dopo aver archiviato le cerimonie in memoria del genocidio ebraico, continuano a favorire gli interessi economici delle lobby delle armi e legittimano gli attuali genocidi mascherandoli come azioni militari speciali.
Noi che viviamo tranquilli nelle nostre case dovremmo continuare a chiederci giorno dopo giorno dov’è finita la nostra umanità di esseri umani per non dimenticare non solo chi ne è stato privato barbaramente in passato, ma per riflettere sulla nostra natura umana che troppo spesso si lascia abbagliare dai vacui bagliori di superiorità.