“Il Re muore”, l’ultima fatica di Maurizio Scaparro
È andata in scena al Teatro ‘Vitaliano Brancati’ l’ultima fatica di Maurizio Scaparro, il regista venuto a mancare nel febbraio di quest’anno: Il Re muore (Le roi se meurt) di Eugène Ionesco. Interpreti: Edoardo Siravo, come protagonista (Bérenger), insieme a Isabel Russinova (Marguerite), Gabriella Casali (Marie), Claudia Portale (Juliette), Alessio Caruso (il medico), Michele Ferlito (la guardia). Le musiche sono del premio Oscar Nicola Piovani, assistente musicale: Pasquale Filastò, costumi: Santuzza Calì, costumista assistente: Paola Tosti, decoratrice: Caterina Pivirotto, elementi di scena: Antonia Petrocelli, aiuto regia: Michele Ferlito, assistente alla regia: Alessandro Laprovitera, oggetti di scena: Rancati, sartoria: Farani.
Nel 1962 debuttava a Parigi quest’opera del franco-rumeno Eugène Ionesco (1909-1994), che aveva esordito già un decennio prima con la sua anti-pièce La cantatrice chauve, una sorta di manifesto del ‘Teatro dell’assurdo’ di cui, insieme a Beckett, è uno dei principali rappresentanti.
Il termine era stato coniato da Martin Esslin (The Theatre of the Absurd, 1961) per indicare quella corrente filosofico-artistica che si sviluppava in Europa tra gli anni ’40 e ‘60/’70 del Novecento.
Si tratta, com’è noto, di quel movimento, collegabile in qualche modo all’esistenzialismo di Sartre e Camus, che interpreta l’assurdità dell’esistenza attraverso il superamento della drammaturgia razionale e del linguaggio logico-consequenziale.
Una successione alogica di eventi apparentemente senza alcun significato dà luogo, così, a dialoghi spesso ripetitivi e compulsivi, tra l’ironico e il tragico, mirati a scandagliare, con amaro humour, il dramma esistenziale dei protagonisti.
Insensatezza nel linguaggio e nella vita è la lettura che i padri di questo teatro ci consegnano con il loro modo avanguardistico di fare teatro.
Iconica rimane la definizione che proprio Ionesco, in un saggio su Kafka, diede del termine assurdo: “ciò che è privo di scopo: recise le sue radici religiose, metafisiche e trascendentali, l’uomo è perduto, tutte le sue azioni divengono insensate, ridicole, inutili”.
È il caso del lavoro di questa sera dove il tronfio e autoritario Re dell’Universo Bèrenger, uso a comandare da epoca immemorabile su uomini e natura, è giunto anche lui al capolinea: è malato e sta per morire.
Il medico di corte, in bilico tra improbabile scienza e superstiziosa astrologia, comunica la ferale notizia alle due mogli regine.
La glaciale e saccente Marguerite ritiene che sia razionale e doveroso mettere al corrente il sovrano della sua prossima e ineluttabile fine.
La tenera e innamorata Marie non ha il coraggio di far soffrire il suo amato togliendogli la speranza.
Juliette, la serva – saggia, prudente e ligia al suo dovere – cerca di trovare estemporanee soluzioni evitando passi falsi.
La guardia, con le sue ossessive ripetizioni, puntualizza i singoli momenti dell’azione teatrale.
Ma il sovrano non riesce ad accettare un destino che è sì umano, ma non certo per lui.
Si rassegna solo quando, dopo aver invano tentato in ogni modo di esercitare il suo antico potere, acconsente rassegnato alla preparazione dei riti funebri che gli si devono.
Solo di fronte alla morte, l’individuo affronta l’assurdità della condizione umana.
È questo, in qualche modo, il testamento che ha lasciato Maurizio Scaparro insieme all’eredità di affetti che traspare dalle parole di coloro che con lui hanno lavorato.
Per Edoardo Sirago -così ha detto nell’intervista che ha rilasciato al nostro giornale- è un dovere proseguire le sue indicazioni per continuare ad onorarlo.
Anche Isabella Russinova, che lo ricorda con grande tenerezza, il regista (“persona appassionata, profonda, di grande talento”) ha lasciato un segno: “è una personalità del nostro tempo!”.
“Ritengo – scriveva l’anno scorso lo stesso Scaparro nelle sue note – che… abbiamo il compito di far riflettere e far rinascere il pubblico attraverso una storia che sembra ssere stata scritta ieri”.
E in realtà Ionesco ha colto la drammaticità di una crisi epocale caratterizzata da un devastante crollo di valori, dall’assenza di regole.
Ha aperto così, la strada a futuri panorami, all’inquietudine contemporanea, regalandoci una riflessione sulla vita attraverso la consapevolezza della morte: un’immagine poetica della condizione umana.
Video e foto di Lorenzo Davide Sgroi