Il pensiero critico è morto
Assuefatti alla prevaricante omologazione di idee che ci vuole tutti seguaci di un unico paradigma, ci siamo dimenticati di organizzare un bel funerale al nostro pensiero critico.
No, non è un’eresia, ma la triste realtà.
Senza che ce ne siamo accorti, il nostro tanto caro quanto essenziale pensiero critico ha smesso di illuminare il nostro intelletto.
Nell’allegria vacua in cui sguazziamo contenti come pesciolini rinchiusi in un acquario, abbiamo perso non solo la capacità di sviluppare un pensiero ma lo stesso concetto di pensiero. Alzi la mano chi sarebbe in grado di definirlo nella sua essenza più profonda e di riconoscerne le sue peculiarità.
“Lo pensiero è proprio atto della ragione” scriveva Dante per sottolineare la sua importanza nei nostri processi intellettivi e mentali.
Ma noi, figli orgogliosi di questa società fatta di esteriorità, ci accontentiamo della finzione che ci viene propinata quotidianamente e ci adagiamo su di essa senza alcuno sforzo cognitivo.
È molto più semplice mettersi davanti a uno schermo, che sia cellulare o computer non importa, e scorrere le immagini che colpiscono i nostri sensi visivi. Le assorbiamo passivamente come se fossimo delle scatole vuote da riempire e in cui accatastare in modo confuso e convulso tutto quello che ci viene imposto. E tutto questo avviene in modo così veloce che non abbiamo né il tempo né la possibilità di analizzarle. Ed è questa la “fregatura” di cui non ci rendiamo più conto, più aumenta la velocità delle informazioni che ci vengono date e più noi ci trasformiamo in piccoli automi annebbiati dalla moltitudine delle informazioni fornite, illusi di possedere l’assolutezza della verità. Convinti di questa nostra presunta superiorità, abbiamo dimenticato, che se siamo arrivati, come comunità di individui, fino ad oggi, è perché chi ha vissuto prima di noi non ha mai smesso di esercitare le sue facoltà critiche di giudizio e di opinione.
Invece noi, fieri di questa nostra leggerezza che ci porta a rimanere ostinatamente in superficie, abbiamo trasformato questa capacità in un facile quanto comodo asservimento alle idee di massa.
Se lo dicono tutti, vuol dire che è vero!
Quante volte abbiamo ragionato o meglio sragionato in questo modo?
Senza mai chiederci chi siano realmente questi “tutti” che ci imbeccano pensieri che non sono nostri ma che lo diventano in fretta, con quella stessa fretta con cui abbiamo impregnato le nostre vite.
E’ squallido da dire, ma siamo diventati una società di gusci vuoti, di menti appiattite che non sanno più mettersi in moto intellettualmente.
Il dubbio è stato demonizzato, degradato a sintomo di fragilità e incertezza con cui è stato stigmatizzato e deriso chiunque provi a esprimere le proprie perplessità su una convinzione comune.
Noi tutti siamo viaggiatori stipati nell’unica barca che ci è stata concessa e non abbiamo altra via che quella di soggiacere alle regole che ci sono state presentate come improcrastinabili e necessarie per la nostra stessa sopravvivenza.
Schiavi di queste falsi principi abbiamo sostituito i nostri bisogni primari, come mangiare e bere, con la continua e ossessiva connessione ai social illudendoci così di essere informati su tutto, persuasi che solo in questa maniera sia possibile raggiungere una reale democratizzazione della conoscenza mentre invece si è instaurata una subdola quanto inconsapevole tirannia di un finto sapere che obbliga a una omologazione di pensiero che esclude e condanna ogni giudizio critico.
Influencer sui social e politici con i loro mezzi di propaganda televisiva e giornalistica invadono quotidianamente i nostri pensieri, li sommergono e alla fine pensano per noi. I loro pensieri diventano i nostri in un’unica e sola opinione creata ad artificio.
Secondo il sociologo William Graham Summer il pensiero critico è “un abito mentale oltre che una capacità. Esso è condizione prima dello sviluppo umano”.
Esercitarlo ci permetterebbe di esprimere noi stessi in modo costruttivo e dare spazio a un confronto reciproco che si tradurrebbe in una crescita non solo individuale ma collettiva perché il pensiero critico ci permette di analizzare e di capire la realtà al di là di ogni forma di mistificazione e ci protegge dagli inganni di una società che ci vuole asserviti e incapaci di esprimere giudizi propri, una società che ci impone di conformarci e di uniformarci pena l’esclusione e l’ostracismo.
E noi, schiacciati da questo imperativo moderno, abbiamo smesso anche solo di provare a pensare in modo critico e ci siamo ridotti ad essere, giocoforza, i bulloni che reggono questo perverso meccanismo e mentre lo teniamo in piedi ne siamo al tempo stesso intrappolati. Una trappola di cui non abbiamo coscienza perché, come sabbia sugli occhi, ci ha reso ciechi e ci impedisce di farci riemergere con le nostre vere individualità intellettive.