Spettacoli

Un ‘nuovo’ Liolà inaugura la Stagione 2023-24 al Brancati

Mercoledì 1 novembre (e fino al 12) alle ore 21 si è inaugurata la Stagione 2023-2024 del Teatro Vitaliano Brancati con

LIOLÀ

di Luigi Pirandello

per la regia di Moni Ovadia e Mario Incudine (Assistente: Marnie Flandina)

Produzione del Teatro della Città


Personaggi e interpreti:
Liolà – Mario Incudine; Zio Simone – Angelo Tosto; Pauluzzu ‘u fuoddi – Paride Benassai; La Zà Ninfa – Rori Quattrocchi; La Zà Croce – Olivia Spigarelli;
Tuzza – Aurora Cimino; Mita – Graziana Lo Brutto; Ciuzza – Lorenza Denaro;
Nedda – Federica Gurrieri; Mela – Irasema Carpinteri; Luzza – Rosaria Salvatico.
Musici : Antonio Vasta (fisarmonica e zampogna) , Denis Marino (chitarre),
Popolane – Compagnia il Cuore di Argante: Valentina Caleca, Emilie Beltremi, Emanuela Ucciardo, Chiara Spicuglia, Flavia Papa
Scene e musiche originali: Mario Incudine
Adattamento e riduzione: Moni Ovadia, Mario Incudine, Paride Benassai.
Costumi: Elisa Savi (Stella Filippone: decori, Cristina Protti: maschere).
Movimenti e coreografie: Dario La Ferla (assistente coreografa: Irasema Carpinteri)
Luci: Giuseppe Spicuglia
Direzione musicale: Antonio Vasta
Direttore di scena: Armando Sciuto

Liolà è una commedia di Luigi Pirandello scritta in siciliano nel 1916 che parte da un capitolo de “Il fu Mattia Pascal” e dalla novella “La mosca” per diventare una commedia rustica musicale.

È dopo il Fu Mattia Pascal –scriveva l’autore al figlio Stefano– la cosa mia a cui tengo di più: forse la più fresca e viva. L’ho scritta in 15 giorni, quest’estate; ed è stata la mia villeggiatura. (…) il protagonista è un contadino poeta, ebro di sole, e tutta la commedia è piena di canti e di sole. È così gioconda, che non pare opera mia.

Ma quando fu rappresentata quell’anno stesso al Teatro Argentina di Roma non riscontrò successo di pubblico né di critica per l’incomprensibilità della parlata girgentina per cui l’anno dopo l’autore allestì una traduzione italiana.

Forse era talmente immerso –scriverà Sciascia ancora nel 1982– nella memoria e nostalgia della sua campagna, della sua gente da non tener presente la possibilità che… certe espressioni, potevano essere sostituite agevolmente con altre più comprensibili

Il successo cominciò a fare i primi passi con la versione napoletana di De Filippo e con l’interpretazione di Martoglio, poi di Michele Abruzzo, e soprattutto trionfò con Turi Ferro.

Liolà, solare trionfo della vita e della seduzione, ha sempre -scriveva Antonio Gramsci nel 1917- la gola piena di canti, entra sempre nella scena accompagnato da un coro bacchico di donne.

Padre di numerosa prole, avuta per caso e affidata alla madre, si contrappone al tetro Don Simone ossessionato dalla verghiana preoccupazione della ‘roba’ da lasciare ad un erede che non nasce per ‘colpa’, a suo dire, delle sue due mogli.

 A tutto provvederà, attraverso rocambolesche e briose vicende, Liolà piantando i suoi girasoli che sbocceranno nel grembo di Tuzza e Mita che si contendono la paternità del vecchio possidente.

Il tutto si svolge nella coralità (ancora Verga) del contesto paesano tra rimbrotti e pettegolezzi rasserenati dalla gioiosa filosofia di vita che il protagonista esprime con nenie, canti e filastrocche.

A tutto ciò si aggiungono le pause di malinconica saggezza di Pauluzzu ‘u fuoddi, personaggio inventato dalla regia che, a tratti, invita il pubblico alla riflessione.

Se a tutto questo aggiungiamo costumi fantasiosi, moda, trucco e parrucco “art déco”, movenze marionettistiche e danze all’interno di una scena minimalista, ecco confezionato il delizioso e intrigante spettacolo realizzato da Moni Ovada e dal ‘cantore’ Mario Incudine che lo ha arricchito di musiche originali.

In questo tripudio di suoni e colori, inoltre, si consuma uno scontro generazionale, una rivolta, anche se lieve e gioiosa, contro i valori formali della vecchia generazione.

Uno scontro tuttavia perdente nel forzato ‘epilogo’: Tuzza pugnala a morte Liolà.

“Liolà è l’amore e la morte, il sole e la luna, il canto ed il silenzio, il sangue e la ferita – dicono Mario Incudine e Moni Ovadia -. Lui incarna in sé il Don Giovanni di Mozart e il Dioniso della mitologia, governato dall’aria che fa ruotare il suo cervello come un mulinello.”

Foto di Dino Tornello

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