L'Opinione

La rivoluzione dei tecnici

Dalla definizione di tecnocrazia a Mario Draghi.

Tecnici. Tecnocrazia. Mario Draghi ha costruito la sua carriera di presidente della Banca Centrale Europea e poi di capo del Governo proprio presentandosi come il super-tecnico in grado di gestire i complessi meccanismi dell’economia finanziaria ed industriale dell’Europa. Nel periodo della crisi dell’euro, Draghi ha addirittura sostituito la leadership politica europea con il famosissimo: “Whatever it takes

All’interno delle burocrazie degli stati ci sono ormai numerosi autorità indipendenti e potenti come Banca d’Italia o il Garante della Privacy. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha coinvolto alti funzionari di stato. Un articolo su IlSole24ore sosteneva che l’Italia è in mano a 400 altissimi funzionari. Nella struttura dell’Unione Europea ci sono numerosi organismi indipendenti: la Procura Europea, la Banca Centrale Europea, la Banca Europea degli investimenti, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

Il libro intitolato La rivoluzione dei tecnici di James Burnham – pubblicato nel 1941 – getta una luce sui tecnici e sulla tecnocrazia. La tesi fondamentale del saggio è che sia in corso una rivoluzione sociale, un passaggio da un vecchio ad un nuovo modello di società. Tale processo può essere definito come rivoluzione dei tecnici (managerial revolution). Il vecchio mondo è rappresentato dal sistema capitalistico tradizionale che ha alcuni elementi fondamentali: 1) la produzione di merci; 2) la moneta come mezzo di scambio; 3) la moneta come mezzo finanziamento; 4) il profitto; 5) il mercato; 6) la presenza di crisi ricorrenti; 7) una chiara stratificazione sociale tra coloro che posseggono i mezzi di produzione e il proletariato (pag. 21-29). Lo sviluppo di tale forma di capitalismo avviene su base planetaria e principalmente in alcuni paesi. È caratterizzato dalla presenza dello stato nazionale (pag. 31 e ss) ossia “gli effettivi istituti politici centrali della società – governo e amministrazione, burocrazia civile, forze armate, tribunali, polizia, prigioni ecc. (…) La sfera limitata delle attività statali era un punto base della più famosa di tutte le teorie capitalistiche dello stato, la teoria liberale. Secondo la teoria liberale dello stato, funzione dello stato era garantire la pace civile ( la “pace domestica”) trattare i rapporti internazionali, condurre le guerre, e per tenersi in disparte e lasciare che il processo economico si svolgesse da sé, intervenendo nel processo economico solo in modo negativo per correggere ingiustizie, rimuovere ostacoli e tenere “libero” il mercato.” (pag. 33-34). L’ideologia del capitalismo si fonda sull’individualismo e sul progresso. Di fatto, tutti gli stati sono intervenuti nell’economia allontanandosi da questo modello.

James Burnham si domanda se sia valida o meno la teoria della permanenza del capitalismo e conclude affermando che “l’organizzazione capitalistica della società è entrata nei suoi ultimi anni di vita” (pag. 51). Ma cosa avverrà dopo? Secondo i marxisti la fine del capitalismo porterà inevitabilmente alla società socialista e che il “socialismo sia l’unica alternativa possibile al capitalismo” (pag. 57). Burnham non è assolutamente d’accordo, anzi ritiene che questa posizione dei marxisti sia solo una deduzione metafisica della teoria del materialismo dialettico (pag. 56.). Burnham sostiene che l’abolizione della proprietà privata capitalistica e il monopolio delle forze produttive in mano al proletariato non sia sufficiente a garantire il passaggio al socialismo. Facendo tesoro delle sue conoscenze del trozkismo, sostiene che nell’Unione Sovietica si era ben lontani dalla realizzazione del socialismo (pag. 57-73). Riprendendo anche la teoria della rivoluzione permanente di Lev Trotzskij, Burnham conclude che lo stalinismo è un regime dittatoriale che non ha assolutamente realizzato il socialismo.

In polemica con la lotta di classe e il materialismo storico, l’autore afferma che “la materia generale della scienza politica è la lotta fra gruppi organizzati di uomini per la conquista del potere sociale.”. Descrive la lotta per il potere come il contrasto tra un gruppo dominante ristretto che detiene il potere e i mezzi di produzione e altri gruppi che tentano di modificare la distribuzione della ricchezza o di prendere il posto del gruppo dominante (pag. 76-77). Questi processi non sono mai così lineari e chiari. La loro formulazione spesso ha solo una natura metaforica. In queste pagine sembrano riecheggiare suggestioni della teoria delle elites di Gaetano Mosca (1858-1941).

In questa cornice appare più chiara la rivoluzione dei tecnici cominciata con l’inizio della Prima Guerra Mondiale. “La cornice economica entro cui verrà assicurato questo predominio economico dei tecnici si fonda sulla proprietà statale dei principali strumenti di produzione. (…) I tecnici eserciteranno il loro predominio sugli strumenti di produzione e acquisteranno una posizione preferenziale nella distribuzione dei prodotti, non direttamente, mediante diritti di proprietà investiti in loro come individui, ma indirettamente, attraverso il loro controllo dello stato, che a sua volta possiederà e controllerà gli strumenti di produzione. Lo stato – ossia gl’istituti che compongono lo stato – sarà, (…) la proprietà dei tecnici, e ciò basterà a metterli nella posizione di una classe dominante. Il controllo dello stato da parte dei tecnici sarà opportunamente garantito da istituti politici ad hoc, analoghi alla garanzia che fornivano al dominio borghese.” (pag. 90). I tecnici sono coloro che effettivamente gestiscono i mezzi di produzione. Burnham è consapevole che il capitalismo non si fonda più su piccole e medie aziende con un basso livello tecnologico, ma su trust in cui c’è una grandissima divisione del lavoro e processi di produzioni complessi che richiedono competenze estremamente specifiche (97-99). Si possono distinguere, allora, varie categorie di tecnici: 1) quelli che sovrintendono al processo produttivo; 2) quelli che gestiscono a livello economico e amministrativo una società e le consentono di fare profitto; 3) quelli che agiscono a livello esterno interconnettendo la società con altri enti economici e politici dove operano altri tecnici con conoscenze specifiche (amministrazione, banche, assicurazioni); 4) proprietari formalmente legali delle società (azionisti di maggioranza). 

Burnham pone l’accento sulla differenza tra proprietà e controllo. Nei moderni gruppi di imprese, ci sono società che controllano ossia che hanno la maggioranza del capitale. I capitalisti, intesi come individui, non contano più. Possono solo dedicarsi ai viaggi, agli yacht, alla beneficenza e alla filantropia (pag. 120). A tutti i livelli i gruppi di imprese sono gestiti da tecnici altamente qualificati e preparati. Questo processo è inarrestabile perché il capitalismo è un sistema mondiale (pag. 116).

In un passaggio del testo riporta come sotto i re merovingi il palazzo era gestito da un maestro di corte. Con il tempo, il maestro di corte divenne il vero detentore del potere, mentre il re era solo un fantoccio, meno di un simbolo (pag. 121). Fuor di metafora, allo stesso modo, “in tutto il campo dell’industria, il controllo di fatto da parte dei tecnici sui processi effettivi di produzione sta crescendo rapidamente (…) In alcuni settori dell’economia, il controllo dei tecnici è già abbastanza radicale” (pag. 122). Questo predominio dei tecnici nell’industria privata esiste anche a livello pubblico attraverso quegli enti con cui lo stato interviene nell’economia (pag. 124 e ss.). Il New Deal negli Stati Uniti, il nazifascismo e lo stalinismo hanno bisogno di tecnici per potere far funzionare le rispettive macchine statali.

Come definire un tale processo?

Una delle tesi comuni è che il controllo dello stato sull’economia abbia comportato una riduzione del potere dei capitalisti. Così parlano proprio i capitalisti. I marxisti negano questo e considerano l’intervento dello stato nell’economia un modo per mantenere in vita il capitalismo. Burnham pone allora la domanda: negli Stati Uniti c’è uno stato socialista o un socialismo di stato? Si tratta, secondo questo pensatore, di una distinzione puramente verbale. Si va verso un’ “economia dei tecnici”.

L’ideologia che ispira uno stato e le valutazioni morali e politiche, ad un certo punto, sono del tutto irrilevanti: bisogna solo gestire processi di produzione e distribuzione estremamente complessi che richiedono l’applicazione di personale altamente specializzato.

Analizzando le strutture economiche della sua epoca Burnham sostiene che l’economia dei tecnici si sviluppa su una struttura fondata sulla proprietà statale dei principali strumenti di produzione (pag. 146) ed è necessaria per sostenere le guerre (pag. 149). Non ha bisogno dell’uso tradizionale della moneta. Non ha bisogno del libero mercato, ma del sapiente intervento di tecnici attraverso istituzioni ad hoc (pag.146-156) e di un vero proprio programma centralizzato (pag. 157). I tecnici, in definitiva, hanno principalmente due obiettivi: 1) la difesa del potere e del privilegio di una classe dirigente; 2) l’efficace continuazione della guerra. Una tale rivoluzione incide sulla struttura economica ed ideologica di uno stato e mette in discussione anche il concetto di sovranità (pag 162-173). Là dove operano i tecnici, la sovranità si sposta in quei luoghi fisici in cui i tecnici possono esercitare il loro potere: “sovrano è chi dirige e gestisce i processi produttivi, economici e amministrativi.”. Si potrebbe aggiungere: “sovrano è chi dirige e gestisce un sistema economico per la conduzione efficace di una guerra.”. Il mondo descritto da Burnham è un mondo di super-potenze che entrano in guerra tra loro. La sua tesi è che il sistema capitalistico del New Deal non sia in grado di reggere alla rivoluzione dei tecnici presenti in altre parti del globo.

Si aprono tre strade: 1) mantenere il sistema capitalistico (keynesismo e New Deal), 2) passare al socialismo; 3) accettare la rivoluzione dei tecnici. L’autore nel suo saggio non dà indicazioni definitive ma solo probabili.

Questo libro è particolarmente importante perché descrive i tecnici e la tecnocrazia prescindendo da valutazioni morali, politiche ed ideologici sui sistemi economici tra gli anni Venti e Quaranta del XX secolo. Le denominazioni e le differenze ideologiche sono solo manifestazioni esteriori ed emotive per fornire una giustificazione alle masse. Il vero perno portante di tutto è la struttura tecnocratica di uno stato. Non bisogna valutare se un’opera è conforme all’ideologia o moralmente giusta. Bisogna domandarsi se quel processo produttivo o amministrativo funziona e se i tecnici preposti riescono a farlo funzionare. La tecnocrazia in questo modo decreterebbe la fine delle ideologie.

La rivoluzione dei tecnici è stata compiuta dai neoliberisti in modo un po’ diverso da quello che aveva pensato Burnham. Il neoliberismo ha smantellato gli enti pubblici degli stati, ha ridotto il potere dello stato e ha creato più livelli di potere economico al di sopra e al di là dello stato. Potremmo dire che la globalizzazione può essere inquadrata come la vittoria del grande capitalismo multinazionale per ottenere l’egemonia globale. Ci sono alcuni pensatori di sinistra che sostengono che la globalizzazione sia collegata anche ad uno stato di guerra permanente. In estrema sintesi “la mano invisibile del mercato [globale] è sostenuta dalla mano visibile di svariati organismi internazionali di natura amministrativa ed economica.” (Alain Greenspan). La globalizzazione ha i suoi ideologi da Friedman a Stiglitz, ha la sua lingua economica, ha i suoi tecnici nei ministeri e negli organismi internazionali (Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, ecc.).

Mario Draghi è uno di questi. Era cresciuto tra i tecnici che avevano costruito l’intervento nell’economia dello stato italiano, poi è diventato il fedele esecutore dell’ideologia neoliberista in Italia dirigendo alcuni uffici importanti del Ministero del Tesoro e poi la Banca d’Italia da cui ha spiccato il volo verso la Banca Centrale Europea. Ecco il trionfo delle tecnocrazie e dei supertecnici come Mario Draghi!

J. Burnham, La rivoluzione dei tecnici, A. Mondadori Editore, Milano, 1947.

J. Burnham (1905-1987) è stato un filosofo statunitense che durante gli anni giovanili fu iscritto al Partito Comunista degli Stati Uniti e aderì al trotzkismo. Ben presto abbandonò queste posizioni, rifiutò il comunismo e il materialismo dialettico. Divenne uno dei più influenti ideologi dei conservatori americani. Collaborò con la CIA. Negli ultimi anni di vita fu premiato dal Presidente Ronald Reagan.

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