Perché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non funziona?
La guerra tra Russia e Ucraina, lo scontro tra Hamas ed Israele, le rivolte nel Sudan del Sud e la guerra dello Yemen colpiscono l’opinione pubblica mondiale e stimolano molte riflessioni. Quasi sempre queste riflessioni hanno per lo più un carattere morale, come ad esempio, la condanna di tutte le guerre, la pace, la fratellanza tra gli esseri umani, ecc.. Altre volte divengono elucubrazioni sui massimi sistemi della religione quando i media diffondono la notizia di un attentato terroristico da parte di terroristi islamici. Spesso però la causa e la soluzione di determinati problemi è molto più semplice e concreta di quella che sembri. E così nella politica internazionale? La risposta è affermativa. Andando al nocciolo della questione, il problema è il cattivo funzionamento del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, l’organo che è deputato a risolvere le crisi e i conflitti.
Ma perché il Consiglio di Sicurezza dell’ONU non funziona?
Il Consiglio di Sicurezza è l’organo è composto da 15 membri: 5 sono i membri permanenti (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) e i restanti 10 sono membri non permanenti perché variano ogni 2 anni su base regionale. Già basta questo perché sia chiaro che il Consiglio di Sicurezza rappresenta ancora il mondo uscito dalla Seconda Guerra Mondiale. La sua composizione non rappresenta minimamente il mondo di oggi in cui l’India, il Brasile, il Giappone e la Germania hanno un’influenza estremamente notevole.
Parlando delle questioni di stretta attualità, possiamo dire che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è paralizzato dal veto incrociato dei membri permanenti sulla guerra in Ucraina e sullo scontro nella striscia di Gaza.
Per comprendere il funzionamento del Consiglio di Sicurezza e le sue regole di funzionamento va menzionato il pregevole saggio di Andrea de Guttry e Fabrizio Pagani intitolato Le Nazioni Unite. Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettivo perché contiene un’analisi approfondita del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e delle prospettive di riforma.
Questa esigenza di una profonda ristrutturazione del Consiglio di Sicurezza è emersa soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda (1989-1991).
In primo luogo, è cambiata la natura dei conflitti e delle guerre. Infatti, mentre prima c’erano guerre tra stati, oggi quasi tutti i conflitti si svolgono all’interno degli stati con gravissime violazioni dei diritti umani (Jugoslavia, Ruanda).
In secondo luogo, i maggiori problemi di sicurezza non provengono dagli stati, ma da soggetti e gruppi che non sono stati, i cd. no-state-actors, es. i gruppi terroristici islamisti. Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul terrorismo islamista sono molto particolari. Alcuni studiosi parlano di poteri quasi-legislativi e quasi-giudiziari del Consiglio di Sicurezza. Sono risoluzioni molto lunghe e molto dettagliate. Non invitano ma obbligano gli stati ad intervenire o a modificare la legislazione sul terrorismo.
Inoltre, è cambiato il concetto di sicurezza. Durante la guerra fredda, per sicurezza si intendeva la risoluzione di conflitti che avessero solo ed esclusivamente carattere militare. Oggi non è più così. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU tiene in considerazione il cambiamento climatico perché potrebbe portare a conflitti statuali e intra-statuali per la gestione delle risorse idriche. Ad esempio, il conflitto in Siria potrebbe essere letto anche come un conflitto per la gestione di risorse idriche. Con la diffusione della pandemia da Covid-19, questo organo ha approvato alcune risoluzioni anche su questo nuovo e specifico argomento. Il Segretario generale dell’ONU ha chiesto persino una specifica cessazione delle ostilità in ragione della diffusione del virus.
Inoltre, i nuovi conflitti intra-statuali hanno profondamente inciso sulla natura delle peacekeeping operations. Originariamente, si creavano solo delle forze di interposizione. Oggi, le operazioni hanno scopi molto più profondi e complessi come l’assistenza umanitaria e la ricostruzione dell’amministrazione di stati falliti.
Inoltre, il Consiglio di Sicurezza interagisce sempre più spesso anche con organizzazioni regionali (es. la Lega araba, Unione Africana, l’Unione Europea, la NATO). In molti casi, l’Unione Africana ha raggiunto grandissimi risultati in Africa. Mentre la Lega Araba ha avuto grandissime difficoltà con il problema siriano. È un capitolo estremamente delicato e meno noto all’opinione pubblica. L’attuale guerra in Ucraina coinvolge oltre gli stati altri soggetti come l’Unione Europea, la Comunità di Stati Indipendenti e la NATO.
Ed infine, il problema dei problemi è il diritto di veto dei 5 membri permanenti. Nelle proposte di riforme, molti stati hanno proposto di elaborare un Code of conduct per ridurre l’uso del veto a poche e specifiche questioni, in modo da impedire che i 5 membri permanenti lo usino per paralizzare il Consiglio di Sicurezza.
Dal 2005 in poi, gli stati stanno convergendo verso due modelli che sono già ben delineati in documenti ufficiali. Un primo modello prevede l’inserimento di 3-5 nuovi membri permanenti e di membri non permanenti. Un secondo modello prevede l’istituzione di un certo numero di membri a rotazione quadriennale e un aumento dei membri non permanenti. Il nuovo Consiglio di Sicurezza avrà complessivamente da 25 a 28 membri. Al momento sembra che ci sia una maggiore adesione verso il secondo modello.
Si tratta solo di passare dalle proposte alla riforma. Ci sono molte resistenze. I membri permanenti non vogliono perdere il diritto di veto e non vogliono assolutamente un Code of conduct su tale argomento. Non vedono di buon occhio l’elevazione di stati come l’India e il Brasile a rango di membri permanenti. Ci sono molti piccoli stati che si sentono sotto-rappresentati. Per la rotazione tra i membri non permanenti, un folto gruppo di stati chiede di considerare anche criteri quali il rispetto dei diritti umani, la regolarità nel pagamento dei contributi all’ONU, la partecipazione a missioni di pace. Alcuni stati avanzano la proposta di dare un maggiore ruolo alle organizzazioni regionali.
Su queste delicatissime questioni, il testo sopra citato, anche se un po’ datato, getta una luce nobilissima ed importantissima.
De Guttry – Pagani, Le Nazioni Unite. Sviluppo e riforma del sistema di sicurezza collettivo, Il Mulino, Bologna, 2010.