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Josiah Royce: il filosofo della lealtà

Chi conosce la totalità della verità possiede perciò, di necessità, l’adempimento di tutti gli scopi razionali.

Io credo nell’Eterno. Sono in traccia dell’Eterno. In particolare, circa i fondamentali criteri morali, non mi piace quella mera nostalgia e quel l’estrania mento spirituale e quella confusione delle menti intorno agli ideali morali, che oggi troppo comune. Bramo conoscere il cammino che conduce a casa la nostra pratica vita umana, anche se esso si dimostri infinitamente lungo.”.

J. Royce.

La vita quotidiana spinge molti a considerazioni estremamente negative sul senso della vita e sulla società che ci circonda. Ci si lamenta della scarsa coerenza morale delle persone e dei politici. Si dice che vanno avanti solo i furbi e i truffatori mentre gli onesti soccombono. La conclusione è che la società attuale è fondata solo sulla simulazione e la menzogna e non vi può essere spazio alcuno per l’onestà e la lealtà.

Nel breve ed intenso saggio intitolato The Philosophy of Loyalty, Josiah Royce (1855-1916) non è assolutamente di questo avviso, anzi ritiene che la loyalty sia il fondamento di ogni esperienza etica, ciò che permette di dare senso alla vita umana attraverso una corretta visione delle cose e del mondo. Questo interessante libro è apparso nel 1908 presso la casa editrice MacMillan ed è stato immediatamente tradotto in italiano da Giuseppe Rensi nel 1911 con il titolo Filosofia della fedeltà. In questa traduzione il termine loyalty non è reso con il termine “lealtà”. Sicuramente tale scelta è stata dovuta al fatto che in inglese loyalty ha un significato molto più forte e ampio rispetto al corrispondente italiano lealtà. Nella nostra lingua, questa parola indica principalmente uno stato di onestà e sincerità nei confronti di se stessi e degli altri. Spesso è anche usato per indicare un “atteggiamento di correttezza e dirittura morale, attaccamento al dovere e rispetto della propria dignità, nel mantenimento degli impegni assunti, nei rapporti con determinate persone, nella fedeltà alle istituzioni e a chi le rappresenta” (Treccani). Royce dà alla loyalty un significato ancora più forte e precisamente: devozione e fedeltà ad una causa.

Questo filosofo americano, esponente dell’Idealismo assoluto, è stato indotto a scrivere questo saggio dalla lettura de La filosofia della guerra del sociologo olandese Rudolf Steinmetz. I due hanno visioni molto lontane del tema della leatà/fedeltà. Steinmetz ne parla in relazione alla guerra e all’ambito militare accentuandone alcuni aspetti negativi. Per reazione, Royce intende mostrarne gli aspetti etici ed universali. La loyalty è l’adempimento dell’etica, la risposta più seria e concreta all’inquietudine dell’animo umano che vive nel caos del mondo, dei piaceri e degli istinti. Il pugnale del dubbio è penetrato nel cuore degli esseri umani, ma essi hanno ugualmente bisogno di dare senso alla propria vita e al proprio agire in relazione agli altri individui e alla comunità. L’umanità ha bisogno di “nuovi cieli e nuova terra”, una palingenesi, una vera e propria rinascita.

Secondo Royce, l’essere umano non può rassegnarsi ad uno stato di precarietà e ad una mancanza di sicurezza. La verità non è un qualcosa di contingente e di transeunte. Il filosofo è convinto che esista Dio, l’Eterno, che ci sia una legge morale eterna anteriore alla società umana: “io non credo che la mancanza di sicurezza costituisca lo stato finale. Nè per me l’ultima parola dell’umana sapienza è questa: che la verità è inaccessibile. Neppure questa l’ultima parola della sapienza: che la verità è semplicemente scorrevole e transeunte. Io credo nell’Eterno. Sono in traccia dell’Eterno. In particolare, circa i fondamentali criteri morali, non mi piace quella mera nostalgia e quell’estraniamento spirituale e quella confusione delle menti intorno agli ideali morali, che oggi troppo comune. Bramo conoscere il cammino che conduce a casa la nostra pratica vita umana, anche se esso si dimostri infinitamente lungo. Sono malcontento del semplice malcontento.”.

Tutti gli esseri umani imparano le regole morali dall’esterno o attraverso l’imitazione del comportamento di altri o attraverso delle autorità. Questa conoscenza si presenta insieme a tutta l’eredità di passioni, desideri ed istinti che caratterizza la storia dell’Umanità. Questo coacervo di nozioni, eventi e contrastanti sentimenti diviene il contenuto della volontà. Royce sostiene che in ogni singolo individuo c’è un processo di interiorizzazione e di elaborazione di tutti questi contenuti. Solo quando la volontà giunge ad una chiara autocoscienza non percepisce più le norme morali come fatti esterni, ma conosce in modo molto preciso il dovere che è:

1) la volontà dell’individuo portata all’autocoscienza;

2) ciò che l’essere umano vuole fare e in cui si appalesa chi è e quale posto occupa nel mondo (principio di autonomia di Immanuel Kant).

La lealtà/fedeltà è sempre diretta verso una causa ed è “uno dei caratteri d’ una vita morale razionale” e garantisce “l’unità di propositi”. “La fedeltà ha in sé un carattere tale che ci vieta, in sostanza, di interpretare il vero bene della fedeltà a stregua delle nostre esperienze umane meramente individuali. L’uomo scopre, veramente, anche nei limiti della propria esperienza personale, che la fedeltà è il suo destino etico, c che senza di essa egli non può procurarsi la pace; mentre, una volta che egli tenga la fedeltà in possesso delle sue facoltà attive, gli appare d’aver risolto il problema personale dello scopo della sua vita.”. Ampliando al massimo il discorso, la fedeltà è:

1) la volontà di manifestare, in quanto è possibile, l’Eterno, cioè la cosciente e superumana unità della vita, nella forma degli atti d’un Io individuale;

2) la volontà di credere (“Will to believe”)in qualche cosa di Eterno, e di esprimere questa fede nella vita pratica d’un essere umano.

La causa è il fine verso cui si dirige l’azione e quando questa è particolarmente insinuante, il soggetto dovrebbe “tenerla innanzi alla mente per tutta la vita, osservandola chiaramente, amandola appassionatamente, eppure comprendendola con calma, servendola fortemente”. Quando la volontà persegue fedelmente una causa ha un unico piano di vita, che è “la sua propria volontà posta dinanzi a lui ed esprimerebbe tutto ciò che la sua volontà individuale abbia mai cercato.” La causa diviene la coscienza dell’individuo che la persegue e trascende i limiti della personalità e del singolo individuo e mette in relazione più individui. Una causa è buona quando è rivolta verso l’intera umanità.

Royce coglie e mostra gli aspetti positivi di questo approccio disegnando addirittura la loyalty to loyalty, la lealtà per la lealtà, la fedeltà per la fedeltà. In maniera molto sintetica è possibile riassumerla in quattro dimensioni:

1) una loyalty verso una Verità ultima;

2) una loyalty che mette in relazione il singolo con comunità sempre più ampie e con l’intera umanità;

3) una loyalty che diviene una forma di agape universale

4) una loyalty che permette di pervenire ad una Religione Assoluta.

La loyalty diviene lo strumento con cui la coscienza diviene parte dell’Umanità e di una Beloved Community, che è quasi un corpo mistico, uno spirito vivente nella Verità e nell’Amore. Solo in questa dimensione l’inquieta volontà dell’essere umano può armonizzarsi e riconciliarsi con l’Eterno e con Dio.

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