L'Opinione

Mom shaming: sei una cattiva madre!

Una donna quando diventa madre deve rinunciare a tutto?
Questa è la domanda che molte di noi si sono poste, soffocate da una società che stenta ad accettare che prima di essere madri siamo innanzitutto individui liberi. Una società che continua a illuderci con la sua propaganda di inclusività e parità di genere che invece, come uno specchietto per le allodole, ci alletta per nascondere il suo grande inganno.
Siamo donne e poi madri in quanto “essere madri non è un mestiere, non è nemmeno un dovere. E’ solo un diritto tra tanti diritti” (Oriana Fallaci).
Questo vuol dire che siamo noi a scegliere in piena libertà se diventare madri o meno così come siamo libere di scegliere che tipo di madri vogliamo essere con i nostri figli.
Ma sempre più spesso non ci viene perdonato il modo in cui gestiamo la nostra maternità se decidiamo di non rinunciare ai nostri obiettivi lavorativi. Siamo colpevolizzate da una società che ci vuole ancora dolci Angeli del Focolare domestico, intrappolandoci nelle immagini delle donne perfette e tutte sorrisi delle foto degli anni ’50, secondo una visione paternalistica e patriarcale che scorre sotterranea tra le pieghe della nostra apparente parità di genere. Una visione dettata da polverosi stereotipi culturali che fanno comodo a certi maschi, insicuri della propria identità, e che, purtroppo, influenzano le azioni e i pensieri di molte donne che inconsapevolmente riproducono comportamenti sessisti senza rendersi conto di essere ignare portatrici di secoli di pregiudizi inculcati da società dirette solo da uomini.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo e ripeterlo: essere donna non significa essere solo moglie e madre, significa vivere come individuo libero di fare le proprie scelte!
E invece ogni volta che una donna mette in evidenza il proprio lavoro, immediatamente viene colpevolizzata e accusata di sottrarre del tempo ai propri figli e di conseguenza di essere una cattiva madre.
Esattamente come è accaduto a Sophie Turner e Joe Jonas, due celebrità americane, immediatamente dopo la notizia della loro separazione.
I noti e saccenti leoni da tastiera hanno scatenato una bufera di accuse e le hanno vomitate addosso alla donna in quanto lei sarebbe stata –secondo il loro autorevole giudizio- la causa del fallimento del matrimonio.
Per questi presuntuosi leoni, la donna si sarebbe macchiata della grave colpa di aver lasciato i due figli piccoli alla custodia del padre in modo da poter continuare a svolgere il proprio lavoro fuori casa.
Galvanizzati dal proprio sapere assoluto, le si sono scagliati contro e hanno criticato aspramente il suo comportamento di madre.
Ma Sophie non è l’unica donna ad essere stata giudicata, prima di lei anche Chiara Ferragni ha ricevuto lo stesso trattamento.
La comunità dei cosiddetti perbenisti si è sollevata indignata di fronte a tanta sfrontatezza!
Come loro tantissime donne comuni che continuano a perseguire i propri progetti lavorativi, subiscono, nella loro quotidianità, pressioni e giudizi negativi sulla maniera in cui gestiscono la propria maternità.
In sostanza una donna quando diventa madre non può più permettersi di essere tale e di perseguire i propri obiettivi e progetti di lavoro.
Questo è un atteggiamento pericolosamente diffuso che, con un termine anglosassone, viene definito Mom Shaming e che esprime questa vergognosa tendenza a giudicare e ad attaccare le madri che non rinunciano a se stesse. Perché è di questo che si tratta: certe sacche della società continuano a voler privare la donna delle proprie libertà individuali e a volerla ancora tra pentole e fornelli. Come se una donna quando diventa madre cessa di essere un individuo con i propri sogni e desideri.
Ottuse convinzioni sessiste frutto di un maschilismo ancora fortemente radicato nelle menti chiuse e bigotte di certi maschi che vorrebbero rinchiudere la donna nell’unico ruolo di madre.
L’assurdità di questo atteggiamento dispregiativo risalta immediatamente se proviamo a ribaltare la situazione.
Chi ha mai colpevolizzato un padre che sceglie di lavorare a tempo pieno per soddisfare le sue aspirazioni lavorative, mollando la responsabilità e la cura dei figli alla compagna?
Se ne trae una sola e vergognosa verità:
Il lavoro e le ambizioni se sono maschili sono sempre accettate.
Invece se una donna si permette di agire nello stesso modo, immediatamente scatta la gogna collettiva che la addita come una cattiva madre, viene stigmatizzata per i suoi comportamenti ritenuti inadeguati.
Ed è proprio in questa diversità di giudizio che emerge prepotente la forza distruttiva di vecchi stereotipi che hanno radici profonde in una obsoleta cultura patriarcale che imponeva ruoli e responsabilità specifiche alle donne soprattutto quando diventavano madri.
E troppo spesso ci si dimentica che ogni donna deve poter affermare se stessa in piena libertà e autonomia senza per questo deprivare di valore il proprio ruolo di madre.

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