Teatri di Pietra: “Elena Tradita” a Messina e Caltanissetta
Doppio appuntamento, per i Teatri di Pietra in Sicilia, con “Elena Tradita” di Luca Cedrola (regia Graziano Piazza) con Viola Graziosi e Graziano Piazza: giovedì 17 agosto al Castello di Milazzo (Messina) e venerdì 18 agosto al Parco Archeologico Palmintelli di Caltanissetta.
Prima volta quest’anno per “Clitennestra, il processo” (Mda Danza) dal testo di Alma Daddario di, per la regia Sebastiano Tringali, con Carlotta Bruni, Matteo Gentiluomo, Rosa Merlino, Luca Piomponi, Paola Saribas e Valeria Contadino: in scena sabato 19 agosto a Selinunte e domenica 20 agosto a Eraclea Minoa, Cattolica Eraclea (Ag).
Vittima e carnefice, tra passione e razionalità, libera scelta e predestinazione, la figura di Elena incarna un mondo di contraddizioni. Contraddizioni che ne hanno fatto un personaggio che appartiene al Tempo e che vive nelle donne e negli uomini di tutti i tempi. A partire dal tentativo di comprendere Elena, senza giudicarla, è nato lo spettacolo Elena tradita, interpretato da Viola Graziosi e Graziano Piazza che ne è anche il regista e scritto da Luca Cedrola (da Omero, Euripide e Ritsos). Lo spettacolo affonda le radici nel mito, rileggendolo in modo fedele ma senza farsi suggestionare dai giudizi che, nei secoli, hanno fatto di Elena la traditrice, causa nefasta di guerra e morte o la regina innocente, vittima del volere degli uomini.
«È facile giudicare Elena. Ma è impossibile comprenderla davvero – spiega Viola Graziosi. Euripide stesso, nei suoi due testi – Le Troiane ed Elena – ne parla in modo contraddittorio, mettendola prima sotto accusa ed esponendone tutte le varie colpe per poi, invece, giustificarla. L’operato di Luca Cedrola è indirizzato in una ricerca volta a scandagliare le ambiguità di una donna che vuole esprimere sé stessa attraverso parole che ne possono rivelare la modernità.
Ne nasce un confronto intenso, in cui l’immagine esteriore della bellezza e della giovinezza rimane immutata e immutabile, mentre emerge l’interiorità di una Elena cambiata, evoluta che finge anche di essere altra da sé. Una Elena sempre bella, ma mai uguale a sé stessa.
Clitemnestra è passata alla storia, grazie alle descrizioni di Omero (Odissea), di Eschilo (Orestea), di Euripide (Ifigenia in Aulide), tutte figure maschili, come il prototipo della donna infame, il mostro che ha commesso l’orrendo delitto di uccidere lo sposo appena tornato dalla guerra. La donna che dà libero sfogo alle proprie passioni, un modello di donna opposto a quello di Penelope, sposa di Ulisse, che aspetta il ritorno del marito mantenendosi a lui fedele. Questa lettura, tutta al maschile, delinea solo una parte del profilo di questa figura “inquietante” della mitologia greca. Nella ri-scrittura di Alma Daddario la vicenda viene tradotta in una polifonia di condanna: tutte le voci del mito, Cassandra, Agamennone, Oreste ed Elettra intervengono – ora carnefici, ora vittime – per confermare una sentenza/giudizio già scritta. Il senso comune, l’opinione diffusa si fanno coro – strumento e amplificazione – di un verdetto esemplare che contrappone le azioni maschili da quelle femminili, riconoscendo legittimità alle prime e condanna alle seconde.
Nella messinscena, in forma di teatro e danza e musica, Clitennestra non cerca assoluzioni, non si giustifica per le azioni compiute, ma ripercorre ogni istante dello sgomento per la violenza subita, provata, vissuta, prima come giovane sposa e madre, poi come madre e regina, infine come regina e donna. Sgomento, infine, per una esistenza/resistenza fatta di isolamento e di incomprensione.
Clitemnestra è una donna infelice, il suo non è un matrimonio d’amore ma l’imposizione della legge del più forte. Subisce la violenza più atroce che si possa sopportare, l’uccisione dei figli sotto i propri occhi, partecipando, da madre, ai loro gemiti di morte. Non c’è nessuno che la difenda o prenda le sue parti. È sola con la propria disperazione. Così si fa giustizia da sola.