L'Opinione

Donne uccise due volte

C’è una categoria o meglio una specie particolare che affolla assiduamente i social: gli irreprensibili perbenisti che, come bestie selvatiche, stanno rannicchiati dietro alle loro tastiere pronti a imporre le loro perle di saggezza e a scriverle con l’arroganza di chi è certo di possedere l’unica verità possibile. Leggerli spesso suscita un sorriso pietoso, ma quando ci si trova di fronte a giudizi che stigmatizzano donne uccise dai propri compagni, non si può rimanere indifferenti. Infangare una donna strappata brutalmente alla vita dal proprio carnefice, significa privarla della sua dignità e ucciderla due volte, o piuttosto ucciderla tante volte quante la si ingiuria, attribuendole la colpa di quanto accadutole.
Così come successo con Alessandra Matteuzzi. Forse non tutti la ricordano, purtroppo sono così tante le donne brutalizzate, che stentiamo a ricordare tutti i loro nomi. Alessandra fu uccisa a martellate l’estate scorsa dal compagno. Come sempre il suo nome riecheggiò altisonante per alcuni giorni per poi lasciare il posto a un’altra vittima. Ma quello che in pochi ricordano è che oltre ad aver perso la propria vita, Alessandra ha perso pure la sua identità di donna.
Tutti questi falsi perbenisti sono emersi dall’ombra della loro perversa moralità e, forti della propria indiscussa integrità, si sono piegati sulle tastiere e hanno vomitato sui tasti ogni tipo di accusa contro una donna che nemmeno conoscevano. Solo per aver visto in televisione le sue foto, si sono sentiti in diritto di sputare sentenze.
Alessandra è diventata oggetto di critica spietata per il modo in cui si vestiva, si truccava, si pettinava i capelli, per le pose assunte nei suoi scatti personali e per la sua scelta di amare un uomo più giovane di lei.
Il suo corpo è stato sottoposto a un’attenta analisi degna di uno scanner, ogni sua parte è stata sezionata con morbosa attenzione e, come sempre accade, la sua interiorità è stata giudicata colpevole. Come se per una donna decidere di seguire un proprio modello di bellezza voglia dire, inevitabilmente, essere una persona spregevole senza valori o principi. Come se scegliere un abito piuttosto che un altro sia espressione di una mancata moralità o addirittura un chiaro segno di sfrontatezza disinibita.
Questi baldi perbenisti, certi dell’incrollabilità dei propri valori assoluti e prevaricanti, si sono avventati contro l’immagine di una donna massacrata, e hanno continuato a farla a pezzi e a ridurre in brandelli la sua memoria, l’unica certezza che rimaneva di lei.
La sua vita è stata profanata ed è diventata oggetto di illazioni e di congetture che attraverso la ferocia delle parole scritte si sono trasformate in certezze inconfutabili che hanno marchiato a fuoco la sua dignità di donna e hanno colpevolizzato la sua stessa libertà di esserlo.
In questo modo Alessandra è morta due volte, la prima per mano del suo compagno e la seconda a causa di un pensiero maschilista che, a dispetto delle millantate propagande di progresso culturale, fa fatica a sparire e invece continua a rimanere fortemente radicato in molte sacche della nostra società.
Un maschilismo che si nutre di vecchi stereotipi e che alimenta comportamenti sbagliati che vengono consolidati da dinamiche pubblicitarie che non smettono di oggettivare la donna e di incentivare questa incessante colpevolizzazione per arrivare a una paradossale giustificazione del comportamento maschile. Quando invece non esiste nessuna scusa nei confronti di uomini che prevaricano e che uccidono nel momento in cui perdono il possesso. E nessuna colpa nei riguardi di queste donne che subiscono un calvario lungo anni prima di essere ammazzate.
Ma questi ostinati perbenisti, degni figli di questa nostra epoca, urlano questa loro misoginia, che circola tacita tra le pieghe della nostra quotidianità, con una violenza verbale raccapricciante, dando libero sfogo alle proprie intime pulsioni e anche alle proprie frustrazioni.
Con i loro giudizi insindacabili, annientano intere esistenze, annichiliscono e degradano queste donne a esseri inferiori, carichi di colpe e meritevoli di punizione.
E si crogiolano protetti dalla sicurezza di essere comodamente seduti a casa propria davanti allo schermo del computer.
Una sicurezza che, però, in questi giorni si è sgretolata come sabbia grazie a una ferma azione giudiziaria da parte dalla procura di Bologna nei confronti di coloro i quali hanno infangato con i loro commenti sui social la memoria di Alessandra. Tutti, sono stati rinviati a giudizio e subiranno un processo per diffamazione aggravata.
È solo un primo passo, c’è ancora molta strada da percorrere, ma finalmente si inizia a capire che nessun uomo può arrogarsi il diritto di porsi su un piano superiore e ritenersi autorizzato a disprezzare la vita e le azioni di una donna, perché ogni donna deve sentirsi libera di manifestare se stessa e la sua individualità.
Ogni donna deve essere libera di colorare la sua vita con tutti i colori che piacciono solo a lei!

Articoli correlati

Back to top button