Bambini esibiti
Felici delle nostre esistenze sui social, perché oramai è assodato, non siamo nessuno se non ci mostriamo belli e sorridenti sulle nostre pagine, abbiamo oggettivato così tanto ogni aspetto della nostra vita da appiattirlo in un ennesimo mezzo per ottenere like. Così in questo grande calderone, in cui abbiamo messo a bollire tutti nostri sentimenti, abbiamo gettato pure i nostri figli.
Una pratica questa, in costante aumento, così tanto da essersi meritata pure un nome: “Sharenting” ossia la tendenza a esibire continuamente i propri figli sui social.
Ci si giustifica trincerandosi dietro a un presunto orgoglio genitoriale quando in realtà, apparire è solo l’unica ossessione che riempie le nostre giornate. Soggiogati dalla nostra irrefrenabile voglia di ostentare, abbiamo spalancato le tende del nostro personale teatrino in cui siamo tutti maschere senza identità.
Schiavi del nostro imperante narcisismo, abbiamo totalmente rovesciato la famosa Piramide di Abraham Maslow, con la quale il noto psicologo statunitense, catalogò i bisogni umani, ponendo alla base come bisogni primari quelli fisiologici connessi con l’istinto di sopravvivenza come mangiare bere e dormire, a cui seguivano quelli di sicurezza e protezione per poi salire ai gradini più alti, che concretizzavano i bisogni immateriali come il senso di appartenenza a un gruppo, il bisogno di stima e l’autorealizzazione in cima.
Noi abbiamo sovvertito il loro ordine ponendo come unico e impellente bisogno, quello di appartenenza a tutti i costi come se esso fosse il solo tratto fondamentale che ci identifica.
Il nostro smisurato ego si nutre di una costante approvazione mediatica e questo ci spinge sempre più oltre i limiti consentiti fino a sentirci gratificati, in una sorta di trasposizione, anche quando i like non sono diretti a noi ma ai nostri figli.
Da una recente indagine, pubblicata sul Journal of Pediatric, è infatti emerso che i bambini cominciano a essere mostrati prima ancora di nascere con una bella ecografia del pancione e che già nel primo anno di vita le foto online aumentano a 300 per arrivare a mille a cinque anni.
Con l’incoscienza prevaricante e con una superficialità disarmante le foto dei bambini vengono messe in rete senza pensare che potrebbero essere utilizzate negli orrendi siti di pedofilia che purtroppo imperversano sempre più. Da numerose analisi è risultato che negli ultimi anni c’è stato un significativo aumento di pedo-pornografia anche grazie alla facilità con cui è possibile reperire foto di bambini su internet.
Ma noi genitori moderni, abbagliati dalla lucentezza sfavillante delle decine e decine di foto dei bimbi delle Influenzer più note sui social e dei Vip in voga al momento, non ce ne preoccupiamo minimamente e, invece, ne facciamo l’esempio da seguire.
Noi scimmie dell’epoca presente prendiamo a modello solo chi ci permette di raggiungere più visualizzazioni, e più ne otteniamo e più continuiamo.
In questo modo, senza rendercene conto, costruiamo identità digitali prima ancora che nostro figlio ne abbia una, lo trasformiamo in un’immagine finta che non ha alcun riscontro con la sua vera personalità.
Ma i figli non sono giocattolini da esibire in un gioco infantile tra chi gareggia a chi possiede quello più bello, non sono oggetti di proprietà dei genitori, sono esseri dotati di una loro dignità che non può e non deve essere calpestata dalla pretesa di poter disporre di loro a proprio piacimento.
Paradossalmente mostrandoli come trofei, li svuotiamo della loro identità e li trattiamo con la stessa disattenzione di cui sono stati vittime per secoli. I bambini nell’antichità classica, così come nel medioevo e per tutto l’ottocento, non erano considerati come individui, ma come esseri imperfetti e mancanti delle doti degli adulti, per questo hanno subito maltrattamenti e umiliazioni e sono stati sfruttati alimentando così la vergognosa piaga del lavoro minorile.
I bambini sono sempre stati oggetti nelle mani degli adulti e oggi?
In questi giorni si sono sollevate, ovviamente sui social, le voci indignate dei “tuttologi” che si sono spesi in commenti e consigli da elargire a questi genitori definiti “irresponsabili e da educare”. Ma questi genitori non sono altro che il prodotto perfetto della nostra società, una società stritolata dall’egocentrismo e dalla plasticità delle immagini, una società che abbiamo costruito tutti noi, chi consapevolmente e chi con l’indifferenza.
Per cui piuttosto che puntare il dito e colpevolizzare, attività che ci piace così tanto da esserne diventati dei veri esperti, impegniamoci affinché le nostre esistenze scendano più in profondità piuttosto che rimanere sempre in superficie.
Se lo facessimo ci renderemmo conto che ogni bambino è una persona con i suoi diritti e la sua unicità, che per essere genitori, bisogna semplicemente comprendere e amare.
Quindi, abbiamo veramente bisogno di ridurlo a un’immagine a rischio di mercimonio, a un pupazzo da esibire nel grande circo mediatico?
Chiediamocelo ogni volta che ci afferra la smania incontrollabile di premere il dito sul tasto di invio.