8 Marzo: la visibilità delle donne
Anche quest’anno, la frenesia consumistica è stata messa in moto per riempire ristoranti e locali nel giorno tanto atteso: l’8 Marzo. E tutti noi siamo stati risucchiati in questo vortice, all’interno del quale l’esteriorità, a cui riconduciamo ogni aspetto della nostra vita, travolge l’essenzialità e la relega in un angolino come un ospite indesiderato.
E ci siamo dimenticati che l’8 Marzo non è una festa ma un giorno in cui bisogna ricordarsi, che se noi donne, possiamo stare allegramente sedute a fare baldoria, lo dobbiamo a tutte quelle altre donne che prima di noi non si sono arrese al loro destino di assenza forzata e all’ invisibilità in cui sono state a costrette a vivere a causa di assurde convenzioni sociali, tutte scaturite da “eccelse” menti maschili.
E oggi, è una donna, Giorgia Meloni, a ricoprire la carica di Presidente del Consiglio e ancora un’altra donna, Elly Schlein, ad essere a capo della segreteria del Partito Democratico. Anche se ci sono ancora dei “maschietti” che hanno difficoltà ad accettarlo, considerato che gli unici commenti che sono stati in grado di fare e che hanno riempito social e testate giornalistiche, riguardano sempre e solamente il loro aspetto fisico.
Ma Giorgia ed Elly non sono due corpi da esposizione, sono due donne che, grazie alla loro determinazione e tenacia sono arrivate, per la prima volta, pur in schieramenti opposti, ad assumere un ruolo, fino ad adesso, considerato emblema ed espressione del potere maschile.
Determinazione e tenacia, due qualità che come due sorgenti perenni, hanno nutrito il lungo fiume di rivalsa femminile contro mentalità aride e chiuse nella loro meschineria alimentata da una illusoria presunzione di superiorità.
Senza andare troppo lontano, basti ricordare che illustri pensatori del nostro tanto acclamato Risorgimento, come Gioberti (“la donna è verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale o la pianta parassita verso quella che si regge…”) mentre si battevano per affermare la libertà dell’Italia, al tempo stesso hanno continuato a non riconoscere quella delle donne italiane ribadendo la loro soggezione all’uomo, convinti che ad esse spettasse solamente la cura della casa e della prole.
Concezioni che sono state alla base del nostro diritto di famiglia, riformato solo nel 1975, secondo cui la donna era solo un accessorio del capo famiglia, marito o padre che fosse, e che per compiere una qualsiasi azione giuridica aveva bisogno della cosiddetta “autorizzazione maritale”, un istituto così assurdo che oggi se ne è perso pure il nome tra le nuove generazioni. Eppure è esistito e ha condizionato in modo pesante la vita delle nostre nonne fino al 1919.
Ma queste donne hanno continuato a gridare la loro presenza attraverso associazioni femminili, la prima fu la Lega di Anna Maria Mozzoni nel 1879, e hanno rivendicato il diritto di studiare nelle stesse scuole degli uomini, fino ad ottenere nel 1874 il diritto di accedere ai licei e alle università e, anche se all’inizio le loro iscrizioni continuarono a essere respinte, non mollarono e riuscirono a entrare in ambiti a loro preclusi.
Nel 1907 Ernestina Prola fu la prima donna italiana a ottenere la patente, l’anno dopo Emma Strada si laureò in ingegneria, Teresa Labriola nel 1912 si iscrisse all’albo degli Avvocati rivendicando così la sua collega Lidia Poet che molti anni prima, con una sentenza del tribunale, era stata esclusa dall’Ordine. Infine Argentina Altobelli e Carlotta Chierici vennero elette al Consiglio Superiore del Lavoro.
Un elenco lungo di donne, che si sono battute anche per noi, donne di oggi, consapevoli di noi stesse e, soprattutto della nostra identità politica, osteggiata per lungo tempo e mascherata da false preoccupazioni, lo stesso Giolitti la definì “un salto nel buio”.
Ma si sa noi donne quando ci mettiamo in testa qualcosa la raggiungiamo a qualunque costo. Non tutti sanno che anche la stessa pedagogista Maria Montessori se ne interessò e si appellò alle donne italiane attraverso le pagine de “La Vita” affinché si iscrivessero alle liste elettorali, e molte di esse lo fecero anche se le Corti d’Appello, ovviamente costituite da soli “maschietti”, le respinsero con fermezza, però non riuscirono a fermare l’ondata di rivendicazione che si acquetò solo nel 1945, anno in cui fu finalmente concesso il diritto di voto.
Per questo noi donne moderne, invece di fare festa, l’8 Marzo soffermiamoci a riflettere sulle conquiste del passato e sui risultati del presente, non accontentiamoci del contentino propinatoci da una società che ci vuole solo sulla superficie, perché se la scrostiamo, ci rendiamo conto che una vera e reale parità di genere non è stata ancora raggiunta e che noi donne dobbiamo proseguire il nostro percorso non per strappare lo scettro ai “maschietti”, ma per reclamare ed esigere la nostra visibilità.