Giuseppe Mazzini, tutt’altro che la politica attuale
“Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini.”.
Clemente di Metternich
Giuseppe Mazzini (1805-1872) è il Padre del Risorgimento perché fu il primo ad organizzare un movimento repubblicano che mirava all’Unificazione dell’Italia e dell’Europa. Era contrario all’equilibrio di potenze stabilito con il Congresso di Vienna (1815) e voleva un cambiamento radicale dell’Europa in senso democratico e repubblicano. Sin da giovanissimo intraprese la lotta armata contro i poteri costituiti dei suoi tempi.
Dotato di una eccezionale cultura, di un talento giornalistico fuori dal comune e di un’oratoria incandescente, in breve tempo, Mazzini assunse il ruolo di Primo e più importante Patriota d’Italia. Fu ammirato in tutta Europa dagli intellettuali, fu temuto da numerosi capi di governo come il principe Clemente di Metternich.
Il suo astro politico giunse al massimo splendore con la Repubblica Romana e che fu repressa nel 1849. Questo fallimento segnò irrimediabilmente l’azione politica di Mazzini.
Molti suoi discepoli finirono per abbandonarlo. Il suo carattere serio e difficile e la sua intransigenza lo ponevano in urto con i liberali moderati, la sua avversione per il papato gli alienava le simpatie di molti cattolici. Il suo misticismo politico era ridicolizzato negli ambienti socialisti.
Di fatto, l’unificazione dell’Italia avvenne con il contributo di politici molto lontani dal mazzinianesimo. E il Patriota si mantenne lontano e continuò a sostenere il suo credo repubblicano e democratico senza grandi variazioni.
Ben presto, comparvero a sbarrargli la strada i socialisti, i comunisti e gli anarchici. Con loro ingaggiò una lotta politica e polemica quasi ventennale. Karl Marx lo detestava e lo definiva “teopompo” (“inviato da Dio”). Michail Bakunin operò attivamente in Italia per toglierli il controllo delle società operaie. Il massimo dello scontro fu raggiunto con le forze socialiste quando Mazzini si schierò nel 1871 contro la Comune di Parigi.
Mazzini rimase politicamente isolato, nonostante che tutti – amici e nemici, patrioti e capi di governo – gli riconoscessero di essere il vero padre del Risorgimento italiano. I massoni di tutta Europa e soprattutto i massoni italiani gli tributarono un vero e proprio culto laico e le sue spoglie furono imbalsamate e tumulate in un mausoleo. Morì nel 1872 in Italia dove era rientrato clandestinamente sotto falso nome.
La sua eredità politica è molto controversa. Sebbene Mazzini fosse un repubblicano l’edizione di tutte le sue opere fu curata da una Reale Commissione del Regno d’Italia. Più o meno quasi tutti i liberali gli riconoscevano di essere il Padre dell’Italia Unita anche se monarchica. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, alcuni videro la realizzazione delle idee di Mazzini con il Presidente Wilson e la fondazione della Società delle Nazioni. A lui si richiameranno sia i fascisti che gli antifascisti. Un inedito apprezzamento delle sue opere ci fu addirittura in India, dove furono ristampate varie sue opere.
Quest’anno ricorrono i 150 anni dalla sua morte, ma non sembra che ci sia particolare interesse per la sua figura.
Mazzini è un personaggio scomodo non solo per le sue idee, ma per il suo modo di pensare la politica. Usava termini come fede, dovere, apostolato, sacrificio, missione, martirio, rivoluzione, crociata, guerra santa degli oppressi, incenso della riconciliazione… Il suo modo di intendere l’azione politica è agli antipodi dei politici italiani attuali che hanno un’innata vocazione al trasformismo, all’esibizionismo e al trash. I discorsi politici sono scritti da ghostwriter esperti in comunicazione e l’immagine del leader è impostata secondo criteri di marketing politico.
C’è un abisso tra Mazzini e i politici della Terza Repubblica. Ciò è evidente se si rilegge il lungo saggio di Mazzini intitolato Fede ed avvenire che fu pubblicato dopo l’emanazione della legge del 9 settembre 1835 con cui il governo francese annullava la libertà di stampa. Per il grande Maestro, questa legge era l’inizio di una Seconda Restaurazione, dopo la Prima operata dal Congresso di Vienna del 1815. Non vedeva altra soluzione all’infuori dell’insurrezione armata “L’insurrezione: io non vedo, per (…)i popoli, altro consiglio possibile: l’insurrezione appena le circostanze concedano; l’insurrezione energica, generale; l’insurrezione delle moltitudini: la guerra santa degli opprèssi: la repubblica per creare repubblicani: il popolo in azione per iniziare il progresso. L’insurrezione annunzi terribile i decreti di Dio: sommova e spiani il suolo sul quale deve innalzarsi il suo edificio immortale: inondi, come il Nilo, le contrade eli’ essa deve rendere fertili.”.
Pur ammirando la Rivoluzione Francese riteneva che avesse dei limiti, perché aveva troppo insistito solo sui diritti dell’individuo e sulla libertà. Condivideva il principio di eguaglianza sviluppato nella Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, ma ammetteva che essa non esisteva a livello economico. Riteneva che oltre a parlare di Diritti, si dovesse parlare principalmente parlare di Doveri, invece di riferirsi all’individuo e all’io, bisognava riferirsi agli enti collettivi e al “Noi”.
In Fede e avvenire esaltava due parole: Fratellanza e Umanità. “La sacra parola Umanità proferita con un nuovo significato ha schiuso all’occhio del Genio un mondo che non era se non presentito, e ha dato cominciamento ad un’Epoca.”.
In nome della Fratellanza e dell’Umanità Mazzini si faceva promotore di un nuovo mondo sociale molto più armonioso e completo di quello delineato con la Rivoluzione francese: “Noi mormoriamo, ispirati da Dio, le sublimi parole rinnovamento, progresso, nuova missione, avvenire; e ci ostiniamo nondimeno a cercare nella sfera dei fatti il trionfo del programma contenuto in quelle parole adoprando ciò che fu strumento d’una missione oggi estinta. Noi invochiamo un mondo sociale, un vasto ordinamento armonico delle forze che s’ agitano confusamente in quella vasta lavoreria che ha nome terra; e a chiamare a vita quel mondo, a gittar le basi d’ un ordinamento pacifico, abbiamo ricorso alle vecchie abitudini di ribellione che logorano le nostre forze per entro il cerchio dell’individuo. Gridiamo avvenire dal seno delle rovine. Prigionieri la cui catena fu moderatamente allungata, noi ci millantiamo liberi ed emancipati, perché ci è dato di movere intorno alla colonna che ci tiene avvinti.”.
Questa nuova azione politica era da lui strettamente connessa con la Fede. La politica aveva per lui una dimensione sacra. Proprio nella Parte VII di Fede e avvenire,Mazzini espone il concetto generale di fede, intesa come un qualcosa che abbraccia tutta la vita “ne concentri tutte le manifestazioni, e ne diriga i diversi modi o li sopprima tutti”, “una fervida irrevocabile credenza che quell’intento sarà raggiunto; un profondo convincimento d’ una missione e dell’obbligo di compirla”. La Fede va sempre in stretto collegamento con il Sacrificio e con il martirio, che “è sovente il battesimo d’ un mondo, l’iniziazione del progresso”. Proclamava in tono profetico: “I popoli s’iniziano nei patimenti della servitù all’adorazione della libertà. Sopportarono oltre ogni espressione: Ingigantiranno, levandosi, oltre ogni presumere. I loro dolori furono benedetti. Ogni lagrima. Insegnò loro una Ferità. Ogni anno di martirio li preparò a una redenzione assoluta. Bevvero il calice fino all’ultima stilla. Non avanza ad essi che infrangerlo.”.
Mazzini dava tre parole d’ordine: “Predicare, Combattere, Agire.”. E ribadiva che: “Il Partito repubblicano non deve cangiare linguaggio o attitudine. Ogni modificazione introdotta per non so qual tattica nelle sue condizioni di vita lo farebbe scendere dalla sua altezza a una parte meramente politica. Ora, il Partito repubblicano non è partito politico: è partito essenzialmente religioso: ha dogma, fede, martiri, da Spartaco in poi; e deve avere l’inviolabilità del dogma, l’infallibilità della
fede, il sagrifìcio e il grido d’azione dei martiri.”.
Mazzini era fiducioso non solo di realizzare entro breve tempo la Repubblica in Italia ma di procedere ad una superiore sintesi a livello europeo. Sempre nel 1835 a Berna, fondava la Giovine Europa, federando la Giovine Italia, la Giovine Polonia e la Giovine Germania. In ragione di ciò poteva scrivere: “Parliamo per tutti, perché tutti sono elementi indispensabili alla futura sintesi europea — perché superiore alla missione speciale, che ciascun di noi è chiamato a compir sulla terra, vive una missione generale che abbraccia tutta quanta l’Umanità e perché non vediamo che l’importanza della unificazione morale del Partito repubblicano mercé l’apostolato della parola sia finora intesa come dovrebbe o ch’essa determini la scelta del sistema intorno al quale dovrebbero stringersi concordi tutti gli sforzi della stampa progressiva europea.”. Rifiutava un’integrazione europea graduale a fasi, sia l’unificazione sotto forma monarchica. Lo stato di cose presenti andava raso al suolo e riedificato su nuove basi politiche e metafisiche.
In Fede e avvenire, il Padre del Risorgimento proclamava un vero e proprio credo repubblicano in un passaggio che è diventato molto famoso e che riportiamo: “Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L’elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l’associazione. Iniziatori d’un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l’unità morale, il cattolicismo Umanitario. E moviamo confortati dalla santa promessa di Gesú: cerchiamo il nuovo Evangelio del quale ei ci lasciò, poco prima di morire, la speranza immortale, e del quale l’Evangelio cristiano è il germe, come l’uomo è germe dell’Umanità. Sulla via fecondata da cinquanta generazioni di martiri, noi salutiamo con Lessing quell’immenso avvenire, la cui leva avrà a punto d’appoggio la Patria, per fine l’Umanità, quando i popoli stringeranno un Patto comune e definiranno fratelli la missione di ciascuno nel futuro, l’ufficio che spetta a ciascuno nell’associazione generale governata da una legge per tutti, da un Dio per tutti. Spetta a noi d’affrettare il momento in cui la campana a stormo dei popoli, la Rivoluzione, convocherà una Convenzione che sia un vero Concilio generale. La guerra nostra dev’essere quindi una santa crociata. Splenda Dio sulla nostra bandiera come sui nostri fati. Superiore a tutte le rovine del vecchio mondo s’innalzi un terreno sul quale i popoli possano ardere l’incenso della riconciliazione. E possa almeno ciascun di noi sapere che cosa rispondere a chi volesse chiederci: d’onde movete? in nome di chi predicate? Ho udito sovente interrogazione siffatta. S’affermava piú volte intorno al nostro nucleo d’apostolato che mancava agli uomini della repubblica una origine filosofica, un principio incontrastabile, sorgente della loro credenza. Gli accusatori erano, giova notarlo, uomini che credono di avere una filosofia perché alcuni tra i loro seguaci hanno raccolto una collezione di filosofie – una religione, perché hanno preti – una dottrina politica, perché hanno birri e mitraglia. Pur nondimeno, l’accusa era raccolta da uomini di buona fede che notavano, costretti, nelle nostre file un difetto visibile d’unità, di sintesi d’armonia, un vuoto di credenze religiose da non potersi facilmente conciliare col fine sociale ed essenzialmente religioso dichiarato ogni tanto dai repubblicani. Or noi possiamo rispondere: Veniamo in nome di Dio e dell’Umanità. Noi crediamo in un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro mondo è raggio e l’Universo una incarnazione. Crediamo in un’unica Legge generale, immutabile, che costituisce il nostro modo d’esistere, abbraccia ogni serie di fenomeni possibili, esercita continua un’azione sull’universo e su quanto vi si comprende, cosí nel suo aspetto fisico come nel morale. Ogni legge esigendo un fine da raggiungersi, crediamo nello sviluppo progressivo, in ogni cosa esistente, delle facoltà e delle forze, che sono facoltà in moto, verso quel fine ignoto, senza il quale la legge sarebbe inutile e l’esistenza inintelligibile. E dacché ogni legge ha interpretazione e verificazione nel proprio soggetto, noi crediamo nell’Umanità, ente collettivo e continuo, nel quale si compendia l’intera serie ascendente delle creazioni organiche e si manifesta piú che altrove il pensiero di Dio sulla terra, siccome unico interprete della Legge. Crediamo che l’armonia tra il soggetto e la legge essendo condizione d’ogni esistenza normale, fine noto e immediato di tutti gli sforzi è lo stabilimento piú sempre compiuto e sicuro di quell’armonia, mercè la scoperta della legge e l’immedesimarsi del soggetto in essa. Crediamo nell’Associazione, che non è se non la credenza attiva in un solo Dio, in una sola Legge e in un solo Fine, come nel solo mezzo posseduto da noi per tradurre il Vero in realtà, come in metodo del Progresso, come nella sola via esistente di perfezionamento, cosí che al piú alto grado possibile di progresso umano debba corrispondere la piú vasta formola possibile d’associazione, conquistata e applicata. Crediamo quindi nella Santa Alleanza dei Popoli, come quella ch’è la piú vasta formola d’associazione possibile nell’Epoca nostra – nella libertà e nell’eguaglianza dei popoli, senza le quali non ha vita associazione vera – nella nazionalità, ch’è la coscienza dei popoli e che assegnando ad essi la loro parte di lavoro nell’associazione, il loro ufficio nell’Umanità, costituisce la loro missione sulla terra, cioè la loro individualità, senza la quale non è possibile libertà, né eguaglianza – nella santa Patria, culla della nazionalità, altare e lavoreria per gli individui che compongono ciascun popolo.”.