L'Opinione

Lo scandalo del Potere

Quando guardiamo in televisione le lunghe file di uomini, di donne e bambini, strappati dalla loro terra e costretti a fuggire senza una meta precisa, i loro volti fiaccati e segnati da sguardi sofferenti e increduli al tempo stesso, scaraventano, con violenza brutale, tutti noi, comodamente seduti sui divani delle nostre confortevoli case, in un passato che pensavamo di avere sotterrato sotto cumuli di principi etici, di codici morali con cui abbiamo patinato la nostra esemplare società.

I loro occhi persi in un vuoto che sembra volerli inghiottire nelle profondità più oscure dell’abisso umano, urlano con disumana ferocia tutto il loro lacerante dolore di esseri umani travolti da una guerra insensata. Gente comune la cui vita all’improvviso, è stata schiacciata dalla atavica sete di Potere che, come una gigantesca piovra, con i suoi tentacoli stritola ogni esistenza per i propri interessi.

Percependo e facendo nostra la loro disperazione e il loro annichilimento, non possiamo non renderci conto che ancora una volta siamo di fronte alla barbara prepotenza del Potere su uomini indifesi.

Ancora una volta assistiamo a “Uno scandalo che dura diecimila anni” così come scrisse la scrittrice Elsa Morante come sottotitolo al suo romanzo “La Storia”. In cui, sullo sfondo della seconda guerra mondiale, attraverso le vicende di Ida e dei figli Nino e Useppe, pone in primo questa perenne prevaricazione di demoni eterni quali il potere, il denaro e la conquista sugli uomini, vittime inconsapevoli che subiscono gli eventi senza potersi opporre.

Le tragiche vicende di Ida Mancuso, maestra elementare ebrea, del piccolo Useppe nato da una violenza subita da un militare tedesco, e del figlio più grande Nino avuto con il marito, in una Roma devastata dalla fame e dalla miseria per i pesanti bombardamenti che avevano distrutto interi quartieri, si intrecciano, con crudele veridicità, con le vicissitudini di migliaia di sfollati che oggi lasciano le proprie case sventrate dalle bombe.

La drammatica vita dei protagonisti, costretti a vivere in uno stanzone a Pietralata, nella periferia romana, insieme a tanti altri senza più un tetto, sembra riflettere, come uno spietato specchio del tempo, l’annullamento totale della vita di migliaia di uomini e donne che sono stati divorati dall’orrore di una guerra non voluta da loro. La loro quotidianità è stata ridotta in mille pezzi, sparsi miseramente come le macerie delle città che sono stati costretti ad abbandonare, e i loro animi sono stati lacerati da un dolore cupo e sordo come il boato delle bombe che hanno udito per giorni nei rifugi.  Vittime di una guerra voluta dai pochi che detengono il Potere, mistificata come ideale di libertà da sbandierare in tutta la sua luminosità pur di celare l’oscurità degli eterni obiettivi del Potere.

“Il potere e la violenza sono tutt’uno” afferma Davide Segre. Un altro personaggio del romanzo, un ragazzo ebreo fuggito dai campi di concentramento, attraverso il quale la scrittrice esplica la sua ferma condanna nei riguardi del Potere “esso è degradante per chi lo subisce per chi lo esercita e per chi lo amministra! Una pietra, un chilo di merda saranno sempre più rispettabili di un uomo finché il genere umano sarà impestato dal potere!”

Perché il Potere, mostruosa macchina di guerra, da sempre, tiene in ostaggio gli uomini, li corrode e, quando non li uccide fisicamente, toglie loro ogni cosa, l’esistenza e gli affetti.

Per questo il nostro paese all’articolo 11 della Costituzione statuisce che “L’Italia ripudia la guerra”.

72 anni fa i nostri padri costituenti scelsero di utilizzare, non i verbi rinunciare o condannare, ma un verbo dal significato forte e chiaro così come disse il presidente della Commissione Meuccio Ruini “perché ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinunzia alla guerra”. 

In questo verbo è racchiusa una volontà precisa e concreta, in quanto, derivato dal greco pous podòs che significa piede, esso indica uno specifico atto fisico: l’atto di respingere con il piede, di allontanare con una energica pedata.

Quindi quello che l’articolo 11 ci comunica con vigore e chiarezza è che tutti gli uomini dovrebbero dare una pedata alla guerra.

Ma il Potere seduce con le sue leggi perverse pur di mantenere inalterato il suo controllo, così nel 2021 l’Italia è salita dal decimo al sesto posto nel mondo come maggiore esportatore di armi e armamenti bellici.

L’articolo 11 è stato tradito dai miliardi di euro spesi, in questi ultimi anni, in armi e in millantate missioni di pace, miliardi che oggi non sembrano più bastare alla sete insaziabile del Potere, come attestato dalle recentissime proposte di legge al riguardo.

Il dettato dell’articolo 11 si è trasformato in un suono vuoto, senza alcun significato, e l’Italia, incatenata in una fitta rete di relazioni economico-militari con Poteri esterni, invece di assicurare pace e giustizia, alimenta e perpetua l’orrore della guerra.

Il Potere, come un mostro famelico, divora la Vita e afferma se stesso in modo violento e brutale con la ferocia delle sue guerre, non solo quella Ucraina, ma anche e soprattutto quelle che sono in corso in tutto il mondo generando migliaia di morti. In Yemen, Siria, Iraq, Etiopia, Nigeria, Afghanistan, Congo, Somalia, Sudan, Monzabico, Pakistan, Birmania, Palestina e Israele.

E troppo spesso ci si dimentica che la guerra è violazione e negazione dei diritti di tutti noi. Essa segna in modo indelebile la sconfitta e la morte dell’intera umanità, ferita e umiliata nel profondo.

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