Il dubbio e il dogma
La nostra epoca, patinata e spudoratamente perfetta, in cui il cellulare e la nostra esistenza attraverso le sue immagini, occupano tutti i nostri pensieri, sembra aver deliberatamente soppresso il pensiero critico, annientato come un acerrimo nemico. E le nostre menti, ottenebrate da una confusione mistificatrice, sembrano aver sviluppato una sorta di intolleranza alla comprensione, trovando più comodo adagiarsi a una sorta di totalitarismo del pensiero unico. La pigrizia interiore ha preso il sopravvento e ci accontentiamo della prima verità assoluta che ci viene sbattuta in faccia dimenticando che il nostro Io per sentirsi vivo ha bisogno di ricerca, di riflessione e soprattutto di domande a cui dare risposte. Se non siamo animati da un dubbio perenne, dal continuo e incessante bisogno di capire il senso profondo di ciò che avviene intorno a noi, al di là di tutti i dogmi ideologici che ci vengono imposti quotidianamente, siamo solo burattini nelle mani di chi muove fili invisibili.
Nel corso della storia il dubbio ha generato importanti conoscenze in ogni campo, ha nutrito i pensieri di grandi uomini e donne tra cui Ipazia, nata ad Alessandria d’Egitto intorno al 355 e figlia di Teone un matematico e scienziato. Essa, da sua allieva, gli succedette nell’insegnamento delle scienze matematiche nella scuola Alessandrina, ma non fu soltanto un’eccellente astronoma e matematica, la sua vivace intelligenza la portò a superare di molto tutti i filosofi del tempo e ad affermarsi come una filosofa neoplatonica di fama, per questo si dedicò con passione a insegnare e a trasmettere un modo di pensare filosofico a tutti quelli che accorrevano da ogni parte per ascoltarla.
Per Ipazia la filosofia era uno stile di vita da applicare ogni giorno ma soprattutto “una costante, religiosa, disciplinata ricerca della verità”.
Per questo ella spesso, indossava un mantello e insegnava pubblicamente per le strade della città, dimostrando consapevolezza di se stessa e audacia in quanto continuava a diffondere una disciplina che è stata bandita dalla Chiesa con l’editto di Costantino prima e poi con l’Editto di Intolleranza di Teodosio.
Nonostante i templi dell’antica religione fossero stati demoliti per ordine del vescovo Teofilo, lei, conscia della propria libertà intellettuale, non si lasciò intimorire e acquisì sempre più prestigio culturale che con il tempo si trasformò anche in influenza politica. Ipazia era una donna di grandi capacità dialettiche e affascinava per la sua ieratica compostezza e raffinatezza inoltre si dimostrò esperta di dottrine politiche e una profonda conoscitrice della società in cui viveva per questo discuteva senza imbarazzo con i capi della città che andavano da lei prima di prendere delle decisioni pubbliche, soprattutto il prefetto augustale poiché Alessandria era una provincia d’Egitto assoggettata al potere centrale romano.
Ipazia fu rispettata da tutti, soprattutto per la sua saggezza poiché mantenne sempre un atteggiamento moderato e tollerante che la induceva ad affrontare i problemi trovando sempre una mediazione non prendendo mai una posizione tra un partito o l’altro per pregiudizio ma esaminando sempre ognuno dei problemi in modo del tutto indipendente dalle implicazioni, ideologiche politiche o religiose.
Ma come ogni mente libera si scontrò con la presunta intransigenza religiosa del vescovo Cirillo che invece perseguiva una strategia di ingerenza giurisdizionale ai poteri civili dello stato. Notando la sua forte influenza politica, iniziò una campagna diffamatoria contro di lei e a calunniarla accusandola di essere una strega, dedita alla magia, per ingannare con stratagemmi satanici. Così mentre stava ritornando a casa, fu aggredita da un gruppo di cristiani, la trascinarono in chiesa, le strapparono le vesti e la uccisero a colpi di cocci, poi la fecero a pezzi e li bruciarono per cancellare ogni traccia di lei.
L’omicidio di Ipazia testimonia lungo i secoli l’eterno contrasto tra il dubbio, come filosofia di una vita libera da pregiudizi, e l’intransigenza del dogma che rinchiude dentro schemi rigidi in una vana illusione di libertà.
Una lotta di potere, un conflitto mai risolto tra la libertà di pensiero, la continua ricerca, e una ferrea volontà di imporre un’unica legge, un’unica visione della realtà.
Ipazia e Cirillo divengono, così, metafora del dramma archetipico che coinvolge tutti noi. E ricordarla significa ricordare a noi stessi che non esiste una verità assoluta ma dobbiamo sempre perseguire il relativamente e empiricamente giusto o il relativamente o empiricamente sbagliato. Il nostro compito primario è quello di mantenere sempre un approccio critico e consapevole, senza lasciarci sedurre dalla superficialità di opinioni presentate come certezze universali.
Anche se viviamo in una società caratterizzata da dogmatismi e integralismi di vario genere, e risulta difficile combattere per il dubbio, non dimentichiamoci mai di farlo.
Lo dobbiamo alla nostra identità e alla onestà intellettuale di una comunità vera e raziocinante.