Quando Verre e i suoi accoliti pranzavano a sbafo dai mottesi
Forse non tutti sanno che le famose “ Verrine” di Cicerone vennero scritte soprattutto a seguito delle rimostranze che gli abitanti di Leontini (l’odierna Lentini) e di Etna-Inessa (l’odierna Motta Santa Anastasia) manifestarono al Senato Romano a causa delle depredazione e degli abusi che Verre e i suoi accoliti avevano perpetrato a danno dei cittadini di quelle città. I cittadini di Etna-Inessa che chiesero a Cicerone di difenderli presso il Senato Romano furono Nynpho e Qunto Lollius; nella villa di Nynpho (con molta probabilità situata nel sottosuolo dell’odierna masseria Ninfo (ritratta nella foto che segue), Cicerone inizio a stendere i primi appunti per le sue famose “ Verrine”, così chiamate perché rivolte contro Verre.
Cicerone ci informa che intorno al 73 a.C. il territorio di Aetna era stato in parte assegnato in appalto gestionale al Cavaliere Romano Q. Lollius e probabilmente il rimanente del territorio di Etna venne assegnato a veterani dell’esercito romano o a cittadini romani bisognosi, come accadeva normalmente alla fine di campagne militari vittoriose; altrimenti veniva assegnato in appalto. La notizia storica oggettiva e documentata, fornitaci dalla testimonianza dello stesso Cicerone, è estremamente importante per la storia di Etna-Inessa in quanto, per gli elementi contenuti nelle verrine ciceroniane, elimina definitivamente dal contesto delle varie ipotesi di correlazioni tra Inessa-Etna e altri siti, tutti quelli scomparsi prima dell’inizio dell’era cristiana; consolidando, quindi, i riscontri circa la coidentificazione Etna-Motta Santa Anastasia e, quindi, Inessa. Q. Lollius, Arator dell’Ager di Aetna, ebbe in appalto una parte del territorio di Aetna già intorno al 110 a.C., atteso che negli anni Settanta del I secolo a.C., Cicerone ce lo indica quasi novantenne. Cicerone ci dice, inoltre, che il primogenito di Q. Lollius, Q. Lollius Q., residente a Roma, viene ucciso mentre stava per venire in Sicilia, ad Aetna, per sostenere il padre contro Verre. Sarà il secondogenito di Q. Lollius, M. Lollius Q., a testimoniare a Roma contro Verre sulle ingiurie e sulle vessazioni subite dal padre, cui la tarda età e la malattia non permisero di essere presente a Roma: Q Lollius morirà ad Aetna, dove probabilmente viene sepolto. Rileviamo inoltre che quella parte del territorio dell’odierna Motta, a suo tempo annesso all’Ager Aetnensis e il cui centro gravitazionale era situato molto probabilmente nell’attuale contrada Ninfo, nel sito della sua attuale masseria, viene anch’esso assegnato, con il sistema dell’appalto al richiedente che faceva la più alta offerta: per diversi periodi gran parte di esso fu assegnato a un imprenditore agricolo centuripino molto noto, Nympho, che a nostro avviso ha impresso il ricordo del suo nome nella storia di Motta Santa Anastasia dando, di fatto, il suo nome a quello di tale contrada di Motta Santa Anastasia, Ninfo appunto, quale nome attribuito a tale contrada in funzione del famoso appaltante che vi realizzò, probabilmente, dove oggi sorge la masseria, il centro direzionale della quota di Ager Publicus romano avuta in appalto. Tale contesto storico ci permette di affermare che la denominazione della contrada Ninfo sia stata determinata dal nome dell’appaltante che la gestì al tempo di Cicerone. La coidentificazione di Etna con l’odierna Motta Santa Anastasia, ci permette di dedurre con chiarezza due cose: la prima, che Etna durante il periodo in cui Roma conquistò la Sicilia non apparteneva né era inglobata nella Polis di Katana, giacché la città di Etna viene citata separatamente da Katana e per essa, Aetna (Etna), e che il suo territorio fu dato in appalto produttivo agricolo: quindi, già in precedenza, era stato assegnato all’Ager Publicus romano. Partendo dalla certezza che nel II secolo a.C. il nome dell’odierna Motta Santa Anastasia fosse Etna, abbiamo avuto la fortuna di trovare già pubblicate ulteriori notizie che riguardano il Cavaliere Romano (Equites) che ebbe assegnato, in appalto parte del territorio di Aetna. Per mettere in evidenza ciò, dobbiamo riportare quanto riferito anche da Augusto Fraschetti, ovvero che:
«Q. Lollius […], quasi novantenne, viene ricordato come Arator nel territorio di Aetna negli anni della pretura di Verre»[i]. (1)
Delle vessazioni di Verre nei confronti di Etna-Inessa parla diffusamente anche il Carrera, che riporta notizie apprese dalle Verrine di Cicerone:
“Queste notizie ci son descritte dal medesimo Cicerone in più luoghi delle orationi, che contra esso Verre compose. Intrinseco ministro era di Verre, e a lui simile ne’ costumi Apronio co’ Venerij preposto all’esattione de’ frumenti, che dagli aratori al pubblico si dovevano, per cui sfacciata licenza ne vennero assassinati i territorij di Catania e d’Inessa; havevan pure gl’Inessei mandato contra Verre l’ambasciatore Artemidoro. Scrisse Cicerone, che Apronio co’ Venerij essendo venuto ad Inessa fe chiamare a sé gli ufficiali della città, a’ quali ordinò, che nel mezzo della piazza gli fusse apparecchiata la mensa, ove ogni giorno desinar solea non solo in pubblico, ma della spesa del pubblico; gli si adornavano sontuosi banchetti con musica, e ivi egli trattenendo gli aratori cavava loro esorbitanti somme di frumento.” (2)
Da Cicerone, quindi, veniamo a sapere che Apronio assieme ai suoi collaboratori erano soliti frequentare la città di Etna, l’antica Inessa, l’odierna Motta Santa Anastasia, e che amavano festeggiare banchettando nella piazza della città così come viene riportato negli scritti di Cicerone, a spese degli Inessei. Il banchettare a spese degli abitanti di Etna da parte di Apronio, che per alcuni aspetti potrebbe essere considerato uno di quei normali obblighi posti a carico delle città per il mantenimento dell’apparato di governo e amministrativo romano nell’isola, deve essere valutato in relazione e nel contesto della complessiva azione di prelievo fiscale in Sicilia e alle procedure con cui venivano forzati i normali meccanismi di prelievo, di conferimento della produzione agraria e del sistema di valutazione del prezzo del prodotto: in tutto ciò Verre e Apronio, suo fido e strettissimo collaboratore si macchiarono di nefandezze e abusi ben documentati nelle cosiddette Verrine ciceroniane. La rovina dell’economia siciliana, l’abbandono dei campi e la desolazione delle campagne, determinati dalla scellerata azione di Verre e Apronio nei confronti della Sicilia, provocarono contraccolpi notevoli anche per Roma e le proteste dei Siciliani determinarono l’instaurazione di un processo contro il governatore della Provincia Sicilia. Solo la lettura completa dell’atto di accusa di Cicerone contro Verre può rendere l’esatta dimensione e le modalità oppressive del danno e degli abusi che Verre e i suoi accoliti consumarono a danno dei Siciliani e degli stessi cittadini romani residenti in Sicilia. (3) La circostanza che il più stretto collaboratore di Verre, Apronio con i suoi accoliti, fosse solito frequentare la città di Etna non deve essere considerata una causalità o una scelta personale di costui: le funzioni che Apronio rivestiva, oltre che come esattore fiscale, si correlavano anche al ruolo che la città di Etna acquisì durante l’epoca romana in ambito giudiziario. Nino Marinone, nella sua introduzione al testo di Cicerone, sostiene che all’interno della riorganizzazione dell’amministrazione della giustizia in Sicilia da parte di Roma, la città di Etna divenne una delle sei sedi giudiziarie della Sicilia. Dice Marinone:
«L’isola era divisa in sei circoscrizioni giudiziarie (conuentus) che avevano come capoluoghi Siracusa, Marsala, Palermo, Agrigento, Messina e Etna».” (4)
Se con le evidenti differenze volessimo in qualche modo paragonare le sei circoscrizioni giudiziarie in cui venne suddivisa la Sicilia alla attuale organizzazione giudiziaria della Sicilia, potremmo correlarle alle attuali sedi distrettuali delle Corti d’Appello dei Tribunali Siciliani: Etna-Inessa, quindi, era una delle sei sedi di circoscrizione giudiziaria della Sicilia romana.
La spregiudicatezza di Verre e Apronio nel depredare con sistematica violenza gli agricoltori siciliani e gli appaltatori del pubblico demanio determinò un diffuso abbandono della coltivazione delle terre; un passo di Cicerone, tratto dall’atto di accusa a Verre, illustra, in particolare, le vessazioni cui venne sottoposto Nympho:
“Nympho è un abitante di Centuripe, un uomo attivo e laborioso, un coltivatore assai intraprendente e attento. Questi coltivava una grande estensione di terre presa in affitto, come solevano fare in Sicilia anche uomini benestanti, quale egli era, e la faceva fruttare con grande impiego di mezzi e di attrezzature. Verre lo tormentò con tanto malvagio accanimento che egli non soltanto abbandonò la coltivazione ma addirittura fuggì dalla Sicilia e venne a Roma, insieme a molti altri cacciatene da costui. Verre fece sostenere all’esattore [Apronio; sc.] che Nympho non aveva fatto la dichiarazione del numero di iugeri messi a coltivazione come prescriveva quello splendido editto, che non aveva altro scopo che i profitti di questo genere. Nympho voleva difendersi in un processo regolare, e costui assegna come periti degli uomini eccellenti, quel medico Cornelio che già conosciamo (si tratta di Artemidoro di Perga, che nella sua patria un tempo fece da guida e maestro a Verre nella spoliazione del tempio di Diana), l’aruspice Volusio e il banditore Valerio. Nympho è condannato prima ancora che sia stato bene accertato il fatto. Volete forse sapere a quanto. L’editto non fissava un’ammenda determinata, Nympho dovette dare tutto il frumento che aveva sulle aie. Così l’esattore Apronio si porta via non la decima dovuta, non del frumento recomerato e nascosto, ma 7.000 medimmi di grano, la produzione delle terre coltivate da Nympho, come ammenda per la violazione dell’editto, non già in base a una qualche clausola del contratto d’appalto che gliene conferisse il diritto.” (84)
Apronio, altri tre abitanti di Centuripe e la città di Etna ritornano nel racconto di Cicerone a sostegno della sua accusa contro Verre, il governatore romano, e Apronio, il suo più stretto collaboratore:
“Sostratus, Numenius e Nymphodorus, tre fratelli della medesima città [Centuripe, sc.], erano fuggiti abbandonando i campi che coltivavano in società, perché riprendeva da loro più frumento di quello che avevano raccolto. Apronio raccolse degli uomini e si recò nelle loro terre, dove fece man bassa di tutti gli attrezzi, portò via la servitù, rubò il bestiame e quando in seguito Nymphodorus si recò da lui a Etna, a pregarlo di restituirgli ciò che gli apparteneva, egli lo fece arrestare e appendere a un olivo selvatico, una pianta, giudici, che sorge sulla piazza di Etna. A quest’albero restò appeso un alleato e amico del popolo romano, in una socius amicusque populi romani in sociorum urbe ac foro, sulla pubblica piazza e vi restò, un colono e coltivatore vostro, finché piacque ad Apronio.” (5)
E ancora, Cicerone ci informa sulle vessazioni subite dal cavaliere Quinto Lollio, che aveva in appalto una parte dei territori della città di Etna:
“Dovevo parlarvi, giudici, di Quinto Lollio, cavaliere [equites] romano ragguardevole e onorato. È un fatto, quello di cui sto per parlarvi, divenuto famoso, continuamente citato e notissimo in tutta la Sicilia. Le terre che Lollio coltivava si trovavano nella zona di Etna, ed erano state consegnate, come tutte le altre, alla giurisdizione di Apronio. Lollio affermò, forte dell’autorità di cui da sempre godeva la classe dei cavalieri e del suo personale prestigio, che non avrebbe consegnato agli esattori più del dovuto. Queste sue parole vengono riferite ad Apronio. Allora questi si mise a ridere e si stupiva che Lollio nulla avesse sentito dire di Matrinio, nulla di tutte le altre vicende. Manda da lui degli schiavi di Venere. Prendete nota anche di questo: un esattore disponeva di servi pubblici assegnatigli dal governatore; e ditemi se questa non vi sembra una prova significativa che Verre abusò delle funzioni degli esattori per il suo lucro personale. Lollio viene dunque condotto o, per meglio dire, trascinato dagli schiavi di Venere davanti ad Apronio, proprio quando questi era appena tornato dalla palestra e aveva preso posto alla tavola che aveva fatto imbandire nella piazza di Etna. E Lollio in piedi deve presenziare a quel prolungato banchetto di malfattori. Per Ercole! Non crederei io stesso a quanto sto dicendo, giudici, benché ne abbia udito parlare da tutti, se il vecchio Lollio in persona non ne avesse molto autorevolmente parlato con me, quando piangendo mi ringraziò per la mia ferma determinazione di assumermi l’accusa di Verre. In piedi, come stavo dicendo, un cavaliere romano quasi novantenne deve presenziare al banchetto di Apronio, mentre Apronio si frizionava con profumo la testa e il viso. “E allora, Lollio?” dice “se non ti si costringe con le cattive, non sei capace di comportarti come si deve?”. Il poveretto non sapeva che atteggiamento assumere, se tacere o rispondere, insomma che fare, un uomo di quell’età, così autorevole. Apronio intanto si faceva servire cibi e bevande, e i suoi servi, che, della medesima origine e razza del padrone, avevano anche la sua medesima educazione, facevano passare tutto ciò davanti agli occhi di Lollio. I commensali ridevano, Apronio addirittura sghignazzava; o pensate forse che non ridesse mentre beveva e si divertiva quell’uomo che non può fare a meno di ridere ora che è in pericolo e rovinato? Per non farla lunga, giudici, sappiate che costretto da questi oltraggi, Quinto Lollio si piegò ad accettare le condizioni imposte da Apronio. L’età avanzata e una malattia hanno impedito a Lollio di venire qui a prestare la sua testimonianza. Ma che bisogno c’è della testimonianza di Lollio? Nessuno ignora questo fatto, nessuno dei tuoi amici, nessuno dei testimoni prodotti da te, nessuno interrogato da te, Verre, dirà che se ne sente parlare ora per la prima volta. È qui suo figlio Marco Lollio, un giovane di primordine; ascolterete le sue parole. L’altro suo figlio, Quinto Lollio, quello che accusò Calidio, un giovane pieno di virtù, energico e tra i primi per eleganza, scosso da questi soprusi e da questi oltraggi, era partito alla volta della Sicilia, e fu ucciso durante il viaggio. Si dà la colpa della sua morte agli schiavi ribelli, ma in realtà in Sicilia nessuno dubita che sia stato ucciso perché non riuscì a tenere nascoste le sue intenzioni nei confronti di Verre. Costui poi non aveva dubbi che al suo ritorno se lo sarebbe trovato di fronte pronto ad accusarlo […] sconvolto com’era per gli oltraggi subiti da suo padre e il dolore che aveva colpito la sua casa.” (6)
- Augusto Fraschetti, Per una prosopografia dello sfruttamento: Romani ed Italici in Sicilia (212-44 a.C.), in AA.VV., L’Italia: Insediamenti e Forme Economiche, Laterza, Roma-Bari 1981, p. 67.
- Pietro Carrera, Delle memorie Historiche della città di Catania, Palazzo del Senato di Catania, MDCXXXIX, vol. I, p. 55.
- Cicerone, Il processo di Verre, introduzione di Nino Marinone, traduzione di Nino Marinone, Laura Fiocchi, Dionigi Vottero, VII edizione, Rizzoli, Milano 2010.
- Ivi, vol. I, p. 25.
- Ivi, vol. II, p. 611.
- Ivi, vol. II, pp. 613-617.