Draghi che vanno, Draghi che vengono
Il recente avvento sulla scena politica nazionale di “responsabili” e “costruttori”, con il mai sopito ritorno in campo della italiana tendenza alla “democristianità”, parrebbe ripalesare un’andreottiana “politica dei due forni”, tipica della Prima Repubblica, mista, però, all’esperienza dei cosiddetti “governi tecnici” tipici della Seconda Repubblica. Certo indubbio è che oggi il problema delle classi dirigenti italiane sia il riuscire a godere della fiducia del paese, fiducia minata dal timore manifestato da quasi l’85,8% degli italiani intervistati in merito al grado di protezione del lavoro e dei redditi che questi siano in grado di assicurare. Ricostruire quella “democrazia sociale” tipica della prima repubblica necessita, oggi, in primis arginare l’inadeguatezza dei modelli di politica economica fondati sull’idea salvifica del mercato e Mario Draghi, che si definisce “socialista liberale” legato ai valori democratici e di socialità, non dovrebbe che in tal senso indirizzare il suo operato. Certo dalla fine della prima repubblica si è realizzata quella “privatizzazione” della politica nazionale caratterizzata da una sorta di degenerazione oligarchica ove il popolo è stato progressivamente privato di parte della sua sovranità proprio a causa della crisi della politica post-tangentopoli con la necessità del ricorso a figure autorevoli in governi tecnici “dei migliori”, quali adatti a perseguire il bene comune da un punto di vista oggettivo a prescindere dal consenso popolare proprio perché detentori di quella supremazia economica e politica necessaria. Oggi che, purtroppo, non esiste un bilancio comune europeo, come anche un fondo comune sostenuto da eurobond, necessario ad affrontare l’enorme shock socio-economico che ha colpito l’intera Europa sono assai palesi gli spettri di possibili crisi dei debiti sovrani ed il rischio dell’affermazione di sovranismi ideologici. Ci vorrebbe, quindi, una nuova capacità di elaborazione programmatica con proposte di grande valore culturale nel solco dell’idea di democrazia economica tipica del primo ventennio del secondo millennio. Il problema della politica nazionale è, quindi, un problema della classe dirigente italiana e proprio della privatizzazione della politica in un’economia comune per l’Europa che riesca a fronteggiare il sociale in una politica “alchemica”. Purtroppo a governi improvvisati l’Italia non è nuova e quindi servirebbe una classe dirigente all’altezza degli scenari attuali per potere arginare soprattutto la crisi populista delle forze politiche prendendo, in primis, coscienza della crisi in atto e successivamente progettando e programmando interventi strutturali ed incisivi. Certo il Recovery fund è stato riscritto ed aggiornato ma il problema rimane sempre il capitale umano della politica nazionale fatto dei “migliori” contornati dai “meno peggiori” che tante aspettative in tutti gli italiani stanno ingenerando. Intanto, però’, un dato certo c’è e cioè che “nani e ballerine” e “comici e clowns” sono già tornati. Benvenuti nella Next Generation Policy della “Terza Repubblica Fase Due”. Viva l’Italia, l’Italia che è in mezzo al mare. Viva l’Italia, l’Italia che resiste.