Il rapporto dei Carabinieri sulla morte di Canepa
Questo il testo del rapporto sulla morte di Antonio Canepa, capo dell’EVIS (Esercito Vololontari Indipendenza Sicilia) , avvenuta il 17 giugno del 1945 nel territorio del comune di Randazzo a seguito di un conflitto a fuoco con una pattuglia di carabinieri, spedito all’Alto Commissario per la Sicilia, Salvatore Aldisio, dalla Prefettura di Catania, speditogli il 22 giugno 1945, nella parte che descriveva l’evento, redatto ufficialmente dal Comando Gruppo CC.RR. i cui uomini erano stati impegnati nel conflitto a fuoco in cui aveva perso la vita Antonio Canepa,.
“Essi [ i carabinieri del posto di blocco] rimasero in attesa dell’automezzo e, solo verso le 8 del 17 detto, videro – ad un centinaio di metri – apparire n mezzo, riuscendo subito a distinguere che non trattavasi dell’autofurgoncino aspettato, ma di un motofurgone. Pensarono che, per necessità sopravvenute. Fosse stato utilizzato questo ultimo mezzo ed a giusta distanza intimarono il fermo. Il motocarro rallentò e stava quasi per fermarsi vicino ai militari quando, improvvisamente, accelerò l’andatura. Il carabiniere esplose un colpo di moschetto in aria a scopo di intimidazione ed il motociclo si fermò subito, dopo aver percorso ancora circa 40 metri. I militari i quali lo avevano raggiunto in corsa, gli furono dappresso. Sulla destra rimase il vicebrigadiere Cicciò, che chiedeva al conducente perché non avesse ottemperato all’intimidazione, sulla sinistra il maresciallo maggiore Rizzotto ed a tergo il carabiniere Calabrese il quale, scorgendo nel cassone i moschetti, gridava < mani in alto >. I cinque sconosciuti non si mossero ed uno di essi sorridendo faceva vedere un pugno di biglietti da mille ammiccando nel rivolgersi al vicebrigadiere Cicciò. Nuova intimidazione di < mani in alto > seguiva al gesto dello sconosciuto. Il maresciallo Rizzotto, nella ferma convinzione che le armi contenute nel motomezzo erano quelle segnalate, ordinò ai militari di non sparare, ma non aveva fatto in tempo a dirlo che un colpo, sparato da una delle persone a bordo, che il carabiniere Calabrese vide distintamente armato di pistola tedesca, lo feriva, mentre altri colpi – una decina circa – partivano dal motomezzo: due attingevano il carabiniere Calabrese ed un terzo smussava la punta della scarpa sinistra del vicebrigadiere Cicciò, ove rimaneva incastrato il proiettile. Approfittando del momentaneo smarrimento dei militari, tre degli individui che si trovavano a bordo, balzarono subito a terra, abbandonando le pistole di cui erano armati, per il lancio delle bombe che tenevano in tasca, bombe non adoperate, evidentemente per la breve distanza che li separava dai militari. Riavutisi dalla inattesa per quanto grave sorpresa, per primo il vicebrigadiere Cicciò, rimasto illeso, e subito dopo gli altri due non gravemente feriti, reagivano dopo essersi tirati un po’ indietro. Colsero bene nel segno avendo il vicebrigadiere aggiustata la sua prima cartuccia colpendo il professore Canepa alla coscia sinistra con il conseguente scoppio di una bomba che lo stesso deteneva, evidentemente in tasca. Intanto il motofurgone, targato Enn . 234, fatto segno ad altri colpi si fermava 680 metri avanti il luogo del conflitto, dopo avere investito il muro della abitazione n. 73 di via Marotta di Randazzo. Approfittarono di questo frangente per dileguarsi il conducente e un altro giovane. Sul mezzo abbandonato vennero trovati, gravemente feriti: il professore, della R. Università di Catania, Canepa Antonio di Pietro e di Pecoraro Teresa, nato a Palermo il 25 ottobre 1908, ordinario di economia politica, comandante dei nuclei di formazione clandestina armata del sedicente esercito volontario di indipendenza della Sicilia ( EVIS ), in possesso di carta di identità falsa intestata a Presti Ermando fu Isacco, nato a Leopoli. Presentava vasta e profonda ferita alla coscia sinistra, prodotta dallo scoppio della bomba e ferita da scheggia in varie parti del corpo; il suo aiutante, studente universitario Rosano Carmelo di Angelo e di Quartarone Giuseppa, nato a Catania il 17 giugno 1923, colpito gravemente da schegge dello stesso ordigno al torace e all’addome. Il primo decedette poco dopo il suo trasporto nell’ospedale di Randazzo, l’altro la sera stessa. A bordo stavano armi, ordigni, munizioni e valori: due moschetti mitra < Berretta >, due pistole mitragliatrici tedesche, una carabina automatica americana, due moschetti mod. 91, tre pistole automatiche, 24 bombe a mano breda, due bombe a mano sipe, sei bombe a mano tedesche, 345 cartucce varie ed altro materiale di equipaggiamento, nonché la somma di L. 305.000. Gli altri due, feriti dai carabinieri appena scesi a terra, vennero subito soccorsi dal vicebrigadiere Cicciò e ricoverati nel nosocomio stesso dopo essere stati disarmati di due bombe ciascuno. Si poté stabilire che uno di essi, deceduto durante il tragitto, risponde al nome di Lo Giudice Giuseppe […] L’altro, l’unico ferito ancora in vita, è certo Romano Armando […].”