Spettacoli

“8 e mezzo – Se questo è un sogno”: cronaca di una crisi

Metti una sera in scena sette donne (Egle Doria, Barbara Gallo, Carmela Buffa Calleo, Laura Giordani, Ornella Brunetto, Laura Sfilio e Cindy Cardillo nel ruolo della giornalista) e un uomo (Emanuele Puglia). Aggiungi l’estro di una innovativa drammaturga/regista (Gisella Calì) collaborata da un fantasioso scenografo/costumista (Vincenzo La Mendola) e da un un’abile vocal coach (Iole Patronaggio) insieme a uno stuolo di tecnici, con il coordinamento di Rossella Messina, ed ecco confezionata la magia della pièce “8 e mezzo- Se questo è un Sogno”, prodotta dall’Associazione Città Teatro e in scena al Piccolo Teatro della Città.
Ispirato al capolavoro cinematografico di Federico Fellini lo spettacolo ruota attorno alla difficoltosa genesi del film a causa della crisi artistica ma soprattutto esistenziale del regista Guido Anselmi (alias il medesimo Fellini), e ai diversi ruoli delle donne della sua vita che oniricamente appaiono a tratti dai suoi ricordi ricostruendo in un disordinato scacchiere spezzoni della sua vita.
Unico punto di riferimento, il baricentro, rimane la moglie (la splendida Egle Doria).
L’azione si svolge all’interno di un panorama (rigorosamente in bianco e nero per riportarci alla cinematografia del tempo: dice il costumista Vincenzo La Mendola) popolato dalle talentuose attrici/cantanti (anch’esse in bianco e nero) che si alternano in scene da musical di fronte al sempre più confuso regista.
In questa danza senza fine della vita le ‘apparizioni’ si succedono vorticosamente le une alle altre senza un filo cronologico che le leghi mescolando realtà, sogno, fantasia, presente e passato, situazioni surreali, comiche, idilliache, drammatiche, nostalgiche.
Il tutto è mosso da un’angoscia insopprimibile ma ironica, con un sorrisetto appena accennato che non esclude la speranza.
Lo spettacolo racconta i due anni di reale crisi personale di Fellini/Anselmi che precedono l’inizio delle riprese del film. Una crisi disegnata e scritta dallo stesso regista nel “Libro dei Sogni” (Rizzoli, 2008), che, su un leggio, è messo a disposizione del pubblico prima dell’ingresso in sala.
È quanto – tra le molte cose – l’autrice/regista ci ha spiegato generosamente nella lunga intervista che ha concesso al nostro giornale.
Diamole voce.
Un faticoso lavoro quello di drammaturgia da lei, appassionata di Fellini, affrontato in due lunghi anni dedicati alla ricostruzione teatrale della crisi depressiva che colpì il grande regista dopo la conclusione della ‘Dolce vita’.
Apparentemente egli aveva tutto, ‘fama, ricchezza, successo, amori’, ma sentiva che gli mancava qualcosa…non era felice come chi, saltato fuori da un treno in corsa, non riesce a tornare e a riprenderlo.
In seguito il regista trovava in tasca un numero di telefono; non quello di un’ennesima donna, ma di uno psicanalista junghiano che, una volta contattato, lo introduce a una sorta di rivelazione suggerendogli di scrivere un ‘Libro dei sogni’ dove appuntare le sue angosce, e arricchendolo di disegni.
Da questo esercizio psicanalitico prende forma “8 e mezzo” (il numero dei suoi film e partecipazioni a quel momento), il racconto reale della crisi esistenziale che sovente colpisce l’uomo (non necessariamente un intellettuale) di mezza età, costretto a rimettere in discussione le certezze della vita, a imparare a cambiare il punto di vista.
L’analisi della Calì nasce dagli scritti di quei due anni, dal percorso che fece uscire Federico Fellini dalla depressione.
Emanuele Puglia, insieme a sette attrici eccezionali, racconta la vita del regista in quel momento: una giostra vorticosa alla ricerca non del ritorno ma di una vita nuova, di un nuovo centro di gravità permanente.
Lavoro lungo e difficile quello di ricostruire un travaglio in cui certezze e credenze devono essere trasportate in un piano diverso in cerca di una soluzione.
Il rischio è quello di restare bambino, un bambino capriccioso che non riesce a gestirsi e fa soffrire gli altri.
Ci vuole un guizzo, conclude la regista, per abbattere la quarta parete mescolando passato e presente in un sogno che catapulta il pubblico in questa follia nel segno della gioia, del divertimento e della grande semplicità.
Sogni, realtà e ossessioni diventano così i vagoni di questo treno impazzito alla ricerca di una migliore consapevolezza.
Lo rivela nel finale lo stesso protagonista:
“Ma che cos’è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com’è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire… Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso. E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo, e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita: viviamola insieme! Non so dirti altro, Luisa, né a te né agli altri: accettami così come sono, se puoi. È l’unico modo per tentare di trovarci”.

Foto e video di Lorenzo Davide Sgroi

Articoli correlati

Back to top button