21 marzo, impegno collettivo contro tutte le mafie

21 marzo, primo giorno di primavera, non è soltanto un momento di rinascita della natura, ma il simbolo del risveglio sociale e culturale di tutta la comunità e impone ad ognuno di noi di rinnegare e di combattere ogni forma di criminalità organizzata.
Un giorno che è nato dal dolore della mamma del caposcorta di Giovanni Falcone, Antonino Montinaro che, come gli altri due suoi colleghi Rocco e Vito, persero la vita nella strage di Capaci, ma che durante le commemorazioni venivano genericamente chiamati “I ragazzi della scorta”.
Ricordare i loro nomi e quelli di tutti coloro i quali sono stati uccisi dalle mafie, è un impegno a cui nessuno di noi può derogare poiché questo significa restituire loro la dignità di individui che non si sono lasciati sottomettere dalle bieche logiche mafiose.
Da quel lontano 21 marzo 1996, quando alla presenza del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, fu letto il primo elenco delle 300 vittime innocenti delle mafie, ogni anno i loro nomi riacquistano la luce dell’individualità e la loro memoria diventa monito perenne per noi, al fine di costruire una società improntata alla legalità e giustizia, senza pericolose zone d’ombra, che purtroppo ancora persistono.
Le organizzazioni mafiose, come un cancro, infettano ogni settore della nostra società, si infiltrano subdole negli ambiti pubblici e politici che divengono strumenti delle loro azioni criminose.
Il 21 marzo è stato istituito nel 2017 con voto unanime alla Camera dei Deputati quale “Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime”.
Una giornata per ricordarci che dobbiamo lottare per una società libera da compromessi criminali e da qualunque organizzazione corrotta e deviata.
Questa lotta acquisisce un significato molto forte qui in Sicilia, da sempre considerata terra di omertà e di collusione.
La nostra storia, però, non la si può ridurre a un corollario di quella della criminalità organizzata, la nostra storia è stata scandita da innumerevoli atti di coraggiosa opposizione da parte di uomini siciliani di indiscusso valore, che hanno messo al primo posto la propria integrità come il Procuratore della Repubblica Pietro Scaglione che il 5 maggio del 1971 fu ucciso insieme al suo autista Antonio Lo Russo. Dopo essere stato al cimitero di Palermo per far visita alla tomba della moglie Concetta, la loro auto fu affiancata da una Fiat 850 dalla quale dei Killer esplosero due raffiche di Mitra.
Scaglione e lo Russo morirono sul colpo.
Scaglione ha rappresentato il primo delitto di un uomo delle Istituzioni da parte di Cosa Nostra. Il primo magistrato ad essere assassinato nonostante fosse in procinto di lasciare la Sicilia per ricoprire le funzioni di Procuratore Generale a Lecce.
Un’azione intimidatoria da parte di Cosa Nostra, ma questo non è bastato a fermare tanti altri siciliani che non hanno esitato ad opporsi come Peppino Impastato giornalista di Cinisi che, per le sue denunce contro le attività di Cosa Nostra, venne assassinato 7 anni dopo.
E come lui altri giornalisti come Mauro de Mauro, sequestrato da un gruppo di mafiosi per i suoi articoli e ucciso. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
E ancora Giovanni Spampinato giornalista de L’Ora e de L’Unità fino ad arrivare al giornalista Giuseppe Fava, ucciso con 5 colpi di pistola per ordine del boss catanese Benedetto Santapaola.
Ma non solo nomi eccellenti, ma anche comuni cittadini, tutti accomunati dalla volontà di essere siciliani liberi da ogni pressione criminale.
Giovanni Gambino, imprenditore nel settore alimentare, fu ucciso perché voleva denunciare i suoi estorsori come Vincenzo Spinelli, imprenditore tessile, che fu ucciso per essersi rifiutato di pagare il pizzo.
La lista di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita pur di non soggiacere alle logiche mafiose, è costellata di centinaia di nomi, di individui innocenti, la cui unica colpa è stata quella di porre al primo posto la propria dignità.
Ma non solo uomini, anche donne coraggiose.
Serafina Battaglia che è stata la prima donna a testimoniare contro Cosa Nostra.
Dopo l’uccisione del marito, un commerciante colluso, e poco dopo del figlio che aveva cercato di vendicare la morte del padre, ma era stato ucciso a sua volta, Serafina decise di testimoniare contro tutto il sistema mafioso e iniziò a collaborare con il giudice istruttore Cesare Terranova.
Serafina ruppe per la prima volta il muro di omertà che opprimeva le donne della mafia e da donna spettatrice e sottomessa alle dinamiche mafiose, divenne un’implacabile accusatrice.
Il suo silenzio divenne un grido dirompente che ruppe il codice d’onore che legava tutti gli appartenenti alle cosche e cominciò a fare tutti i nomi che aveva sentito dal marito: mandanti, sicari e complici e a raccontare che nel negozio di suo marito si riunivano i boss di Alcamo e di Baucina.
Durante i processi testimoniò senza paura convinta che le sue parole potessero spezzare la fitta ragnatela mafiosa, ma i processi vennero annullati per insufficienza di prove.
Però lei continuò a lottare per il resto della sua vita e anche se non vinse riuscì ad aprire una breccia, che, dopo di lei, fu varcata da Rita Atria, Felicia Impastato Piera Aiello e tantissime altre.
Donne animate da un profondo senso di giustizia, così come gli uomini.
Tutte queste vittime hanno pagato a caro prezzo la loro scelta, per questo è nostro dovere nominarle una per una in questo simbolico e interminabile rosario civile, affinché il loro eroismo nutra il nostro impegno collettivo contro tutte le mafie.