Spettacoli

“Troppu trafficu ppi nenti” al Brancati

È in scena al Teatro di Città ‘Vitaliano Brancati’ di Catania, lo spettacolo: “Troppu trafficu ppi nenti”. Testo e drammaturgia di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale.
Interpreti (in ordine di apparizione): Angelo Tosto, Ramona Polizzi, Lucia Portale, Anita Indigeno, Lorenza Denaro, Filippo Brazzaventre, Ruben Rigillo, Daniele Bruno, Cosimo Coltraro, Luciano Fioretto, Alex Caramma, Vincenzo Volo, Valerio Santi, Rosario Valenti, Pietro Casano.
Regia e Scene di Giuseppe Dipasquale. Costumi di Dora Argento e Angela Gallaro Goracci. Produzione del Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale.

La pièce proposta dal ‘Brancati’ vuole essere una gustosa parafrasi in antico dialetto messinese della nota tragicommedia shakespeariana “Molto rumore per nulla”.
Certamente nebulosa è sempre stata la ricostruzione della vita e addirittura della vera identità di Shakespeare (1564-1616), il drammaturgo più rappresentativo della Gran Bretagna, autore di numerose opere dalla incerta cronologia composte tra il 1558 e il 1613.
L’ipotesi più fascinosa (per noi) è quella, avanzata tempo fa da alcuni studiosi, circa l’origine siciliana del grande Bardo.
Secondo tale congettura il famoso Will sarebbe stato in realtà il quacquero Michele Agnolo Florio (Scrollalanza dal lato materno) nato probabilmente nel 1564 che per sfuggire alle persecuzioni religiose da Messina, attraversando l’Italia, sarebbe giunto a Stratford on Avon. Lì un oste, forse parente della madre e quindi Scrollalanza, cui era morto il figlio William, lo accolse chiamandolo affettuosamente con quel nome.
Bastava a questo punto tradurre in inglese il cognome della madre (da “Scrolla lanza/lancia” in “shake speare”) ed ecco Michelangelo Florio trasformarsi in William Shakespeare, non più perseguitato fuggitivo ma costretto a nascondere per sempre identità e origini.
Sembrerebbe confermarlo “Troppu trafficu ppi nenti”, lo spettacolo di stasera -nato però da un creativo incontro tra Andrea Camilleri e Giuseppe Depasquale- fedele traduzione in siciliano aulico, scherzosamente spacciato per la fonte di “Molto rumore per nulla”, una tragicommedia brillante ambientata a Messina scritta da Shakespeare tra il 1598 e il 1599 e pubblicata l’anno dopo.
Lo racconta al nostro giornale il lo stesso Dipasquale ricordando uno scherzo che anni fa aveva ideato insieme a Camilleri, passeggiando a Roma in Via dei Coronari e discutendo del caso Shakeapare/Scrollalanza.
Nacque così la fantasia di tradurre il testo inglese in lingua siciliana del XIV secolo.
Detto-fatto: Il 6 settembre del 2000 veniva presentato a Catania in Piazza Duca di Genova, e poi in tour a livello nazionale e internazionale fino a questa edizione rinnovata e portata in scena da un cast di alto livello.
E sarebbe nato, poi, pubblicato nel 2009 da Lombardi editore, il sapido libro/inganno: “Troppu trafficu ppi nenti”.
“Testo attribuito a Messer Angelo Florio Crollalanza, archetipo, pare, dell’illustre testo Molto rumore per nulla dietro la cui figura dell’autore si cela William Shakespeare.
E la magia si compie: il rigore inglese diventa farsa isolana; mantenendo intatto il copione teatrale si ottiene una ancor più gustosa commedia.
Ma il rovello continua ad aleggiare: “Troppu trafficu ppi nenti”, scritta in messinese, potrebbe essere l’originale di “Troppo rumore per nulla” apparsa 50 anni dopo?
L’ambientazione di numerose opere shakespeariane in Italia ha certo fomentato questa e altre teorie, trascurando la larga eco che Umanesimo e Rinascimento ebbero in Europa.
Molte fonti del Bardo sono non a caso racconti italiani come quelli tramandati da Luigi Da Porto, Masuccio Salernitano e Mattia Bandello.
L’origine classica del lavoro di Shakespeare/Scrollalanza (?!) si ritrova ne “Il romanzo di Calliroe” di Caritone di Afrodisia, ambientato a Siracusa.
Di certo la commedia è collegabile alle “Novelle” di Matteo Bandello, e precisamente alla XXII del primo libro: “Narra il signor Scipione Attellano come il signor Timbreo di Cardona essendo col re Piero di Ragona in Messina s’innamora di Fenicia Lionata, e i varii e fortunevoli accidenti che avvennero prima che per moglie la prendesse”, pubblicata nel 1554, ed edita in Francia nel 1559.
Alcune suggestioni proverrebbero anche dal poemetto di Chistopher Marlowe “Hero and Leander”, pubblicato nel 1598, altre da “Orlando Furioso” di Ariosto e da “Il Cortegiano” di Castiglione.
La struttura narrativa risente comunque di un lungo percorso che porta dalla Commedia greca, attraverso Plauto e Terenzio fino alla novellistica, alla Commedia dell’arte e all’epica cinquecentesca
A scena aperta il palco del ‘Brancati’ -rivestito di tappeti, avvolto dal fumo e dall’aroma degli incensi, tra sete e damaschi, veli, turbanti e abiti lussuosi con colori esaltati dalle luci della ribalta- riesce a immergere il pubblico in un tempo senza storia, in una ridondante, pur nel suo minimalismo, magica atmosfera medio-orientale ricca di contaminazioni e di echi musicali mediterranei (ah quel sirtaki!).
I personaggi si muovono in un luogo anch’esso senza tempo: nell’esotica, arabeggiante Messina, da sempre punto di incontri e scontri al centro del Mediterraneo.
Ad aprire la commedia è l’arrivo a Messina del principe Pedro d’Aragona – di ritorno da un’impresa d’armi – a casa del suo vecchio amico Leonato, accompagnato da Benedetto, dal conte Claudio e dal fratello del sovrano, Don Juan.
Il giovane Claudio, si innamora della virtuosa figlia del padrone di casa, Ero, mentre argute schermaglie tra la cugina Beatrice e Benedetto fanno presagire il loro futuro fidanzamento.
Una serie di intrighi, bugie, calunnie e tradimenti orditi dal vendicativo Don Juan darà il via ad un complicato intreccio che tra promesse d’amore, ripudi e finte morti, tragici toni e sgangherata ilarità, inganni e disvelamenti, condurrà allo scontato ‘lieto fine’ tra musica e danze.
Coprotagonista primaria di questa affascinante pièce è la lingua: ricostruita nelle sue origini più nobili, ricca di assonanze orientali, arcaica, essa ci riconduce a una cultura di secoli lontani, a luoghi onirici, ma a prototipi umani eterni.
“Questo Troppu trafficu ppi nenti -per Dipasquale- è il modello eterno di un carattere
terribilmente semplice, come quello siciliano, che ama complicarsi l’esistenza in un continuo arrovugliarsi su se stesso…”
“Il teatro è gioia!” ha concluso il regista, convinto della possibilità di far passare attraverso il divertimento messaggi impegnati e impegnativi: “…la vita non è quella che noi viviamo senza mai perseguirla; è un ‘trafficu’ perpetuo che ci conduce al ‘nenti’ eternamente”.
A chiusura di sipario… la magia è finita.

Video e foto di Lorenzo Davide Sgroi

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