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L’ultimo Paradiso

Poco prima di inoltrarci nella Gran Sabana abbiamo attraversato villaggi malconci, dove nel tempo che fu poveri minatori hanno donato la loro vita per l’estrazione dell’oro, distruggendo le foreste e inquinando una parte dei fiumi. Seguono alcuni giorni alla scoperta della Gran Sabana, trascorsi tra ampie vallate, pianeggianti e verdissime distese, interrotte solo da sparuti villaggi abitati dagli indios, che si muovono lungo i fiumi con imbarcazioni di legno che prendono il nome di “curiara”. Le foreste e la savana sono state occupate per diecimila anni da gruppi d’amerindi della famiglia Carib, oggi conosciuti come Pemon, che mantengono rigorosamente stili di vita tradizionali, fatti d’agricoltura, caccia e commercio. Giornate passate a correre con la jeep lungo le piste della Gran Sabana, in quello che è indicato il Parque Nacional de Canaima, che si estende alla destra del mitico fiume Orinoco, un territorio pieno di fascino e di mistero. A rendere unico questo Parco è la presenza di due sistemi differenti: nella parte occidentale la giungla tropicale, mentre in quella orientale la gran savana. Le soste mi consentono delle brevi nuotate lungo i numerosi fiumiciattoli, immersa nell’acqua gelida osservo in lontananza un qualche Tepuy; dimora degli Dei, “Lui” è lì, fermo a fissarmi. Dal basso sembrano delle immense “mesetes” tavole, assolutamente piatte, in realtà alcuni si presentano vuoti al loro interno, per la dissoluzione per opera dell’acqua del cemento calcitico dell’arenaria di cui sono composti, prendono anche il nome di cenote; larghi fino a 300 m e vertiginosamente profondi. Un luogo questo, dove tra impetuosi corsi d’acqua e l’erba alta mossa dal vento, sparute capanne circolari dai tetti di paglia, dette “churuata”, ci soccorrono e ci danno asilo. Una sosta prima della pausa notturna, giusto in tempo per ammirare un tramonto d’indescrivibile bellezza, con il Roraima che si staglia all’orizzonte. La notte, la pioggia irrompe impetuosa e al suo placarsi una sinfonia d’animali notturni da inizio ad un concerto: i suoni di tutti questi esseri viventi, per lo più invisibili ai miei occhi, cessa all’improvviso con le prime luci del mattino. Il pernottamento alla Quebrada de Jaspe (Kako Paru), mi sorprende; qui scorre un fiume su un letto di diaspro puro, utilizzato dagli Indios per grattare la yucca. Al mattino mi sono ritrovata a fare il bagno in un letto di fiume, dove l’acqua è cristallina e ravvivata da un magico luccichio, dovuto alla presenza sul fondo rossastro di quarzo cristallino e silice, è questo il diaspro, minerale con elevati poteri curativi. Il verde della foresta, che circonda questo fiume che scorre impetuoso per poi placarsi in alcuni punti sulle piatte rocce di diaspro, si contrappone al rosso del letto roccioso, creando così un contrasto di colori di una bellezza indescrivibile.
Il paradiso che mi accoglie, protetta dalla mia guida, nonché abile autista, non mi fa dimenticare la sofferenza in cui versa il Venezuela. Mi rammarico per alcuni nostri compatrioti, che ho intervistato a Ciuciad Bolivar; qui, al mio rientro mi attende un amico italiano, uno dei tanti che si sono trasferiti in Venezuela in tempi migliori. Numerose sono le famiglie d’origine italiana, che con le lacrime mi hanno pregato di far conoscere la sofferenza che questa terra sta attraversando. Questo paradiso in terra, da alcuni anni è stato stravolto da eventi che non dovrebbero esistere, che sconvolgono, ancora una volta dei popoli pacifici, eredi di una cultura antica fin troppo impenetrabile vista la gran riservatezza che li contraddistingue.

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