Storie dell'anima

Gli antichi greci e la felicità

Inizio questo percorso filosofico partendo dall’etimo della parola felicità: i greci, soprattutto i filosofi, usavano spesso il termine “Eudaimonìa”, composto da eu (buono) e daimon (genio, demone). Comunemente viene utilizzato il termine Eudemonia e viene tradotto come scopo di vita e fondamento etico. Questo perché il daimon, questo demone che con il termine eu diventerebbe demone o genio buono, è inteso come il talento individuale,la capacità propria, quindi realizzando il nostro talento scopriamo la nostra missione, lo scopo di vita di ognuno di noi. E’ buono nel senso che è quello giusto per ognuno di noi, il nostro buon genio, diventa fondamento etico, un comportamento di vita. Ci viene in aiuto per chiarire questo concetto il motto inscritto sul frontone del tempio di Apollo a Delfi “Conosci te stesso e nulla di troppo”. In questa frase sono racchiuse le fondamenta della cultura greca: “conosci te stesso” il tuo daimon, il tuo demone, come dicevamo prima, il tuo talento, lo scopo della tua vita e poi il motto aggiunge “e nulla di troppo”. In questo, nulla di troppo, c’è la chiave conclusiva del comportamento umano che dovrà trovare, l’equilibrio, l’armonia, qui il dio Apollo ammonisce l’uomo a non esagerare,a stare nella misura,a non eccedere. E’ questo per i greci il percorso verso la felicità,questo atteggiamento filosofico si trova anche nella la ricerca del funzionamento delle leggi di natura, la matematica, l’architettura, la medicina, l’arte, la musica e tutte varie forme di produzione umane. Se noi osserviamo, per esempio, i templi, le sculture notiamo che sono a misura d’uomo, non eccedono, non esagerano. Se noi guardiamo le statue si vede subito che hanno le proporzioni umane, non vanno oltre sono nella misura ed è come se esprimessero la loro “eudemonia. Adesso passo la parola a due filosofi greci che hanno affrontato il dialogo sulla felicità oltre che a livello intellettuale, anche pratico. Il primo di cui scriverò è Socrate, il grande filosofo ateniese del V sec. a.C., che ebbe molti discepoli tra cui il più importante fu Platone. Il filosofo di Atene partendo dal motto delfico “conosci te stesso e nulla di troppo” iniziò la costruzione della sua filosofia tesa alla ricerca della felicità come auto realizzazione, come missione di vita seguendo il “daimon” come bussola per orientarsi nella conoscenza di se stessi. Questo gnoseologia individuale Socrate non la tenne per sé bensì, provò dialogando con chiunque incontrasse a farla partorire dall’altro come una levatrice fa partorire un bambino, così nacque la famosa “Maieutica socratica”. L’altro filosofo che entrerà in scena in questa narrazione è Epicuro da Samo, che visse tra il IV e il III sec .a. C.ed esercitò le sue arti filosofiche ad Atene nel giardino di casa sua dove aprì una scuola. Egli nella ricerca della felicità mette sempre al centro la già citata “misura” portando l’uomo a sbarazzarsi delle paure, secondo il nostro filosofo, inutili come la morte. Nella lettera a Meneceo, la famosa “lettera sulla felicità” scrive: «Il male, dunque,che più ci atterrisce, la morte, è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, e quando c’è la morte noi non ci siamo più». Lo storico greco Diogene Laerzio nella “Vita di Epicuro” ci riporta le ultime parole del filosofo, che si rivolge agli amici e discepoli prima di morire dicendogli: «Siate felici e memori del mio pensiero».

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