Politica

“Declino della democrazia” e Trasformismo

Le recenti inchieste giudiziarie, riguardanti la Puglia e la Sicilia, hanno coinvolto sia alcuni rappresentanti delle due regioni, sia alcuni assessori e consiglieri comunali e anche qualche sindaco. Un vero e proprio terremoto politico e giudiziario sia per la notorietà di alcuni politici, sia per pesantezza delle accuse che vanno dal voto di scambio alla compravendita di voti, dalla corruzione alla turbativa d’asta. Al di là dell’innocenza o della colpevolezza degli indagati, di cui si occuperà la magistratura, emergono due ordini di problemi. Da un lato, la scarsa moralità della classe politica e lo scollamento tra rappresentanti e rappresentati i quali, sempre più spesso, decidono di non andare a votare, non riconoscendosi più in coloro che, anziché lavorare per il bene collettivo, brigano per i propri interessi personali o per quelli della propria famiglia o consorteria. Dall’altro lato, al centro del dibattito è stata la questione della “transumanza politica”, cioè della facilità con cui i rappresentanti politici “mutano casacca”, trasmigrando dal PD a Forza Italia, dalla Sinistra alla Destra, dal Centro alla Lega.
In tanti – intellettuali, giuristi, economisti – hanno sottolineato la piaga della corruzione, il decadimento morale della classe politica e la prassi del trasformismo.
Sul fenomeno della corruzione sono apparsi, negli ultimi tempi, una serie di studi volti a sottolineare sia la complessità del fenomeno, sia le conseguenze economico-sociali degli atti corruttivi e dell’illegalità diffusa. Partendo dalla considerazione che l’atto di corruzione distrugge le regole morali e le regole/leggi amministrative, nell’immaginario comune, il termine corruzione rimanda all’idea di malcostume, di illegalità e di decadimento morale e politico.
A ragion veduta, parecchi economisti – da Jean-Paul Fitoussi ad Amartya Sen – sostengono che l’attenuarsi del rapporto tra moralità e politica, tra etica ed economia sia dovuto all’affievolirsi della democrazia e all’accrescersi della corruzione. Si tratta di due fenomeni diversi ma strettamente interconnessi. La corruzione, ormai diffusa, ha come condizione preliminare “il declino della democrazia” partecipata e quindi la scomparsa, nella coscienza delle persone, del concetto di interesse generale. L’effetto è il sovrastare degli interessi particolari, delle lobby economiche, delle clientele regionali, dei singoli e del loro cerchio parentale.
Una situazione già descritta da Italo Calvino nel suo Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti:
«C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (…) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori, in genere, già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia. Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; (…) Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti».
Un sistema circolare in cui i corruttori diventano corrompibili e viceversa.
In tanti sostengono che all’origine del deterioramento morale vi sia la politica del trasformismo, del passaggio da uno schieramento all’altro.
Il trasformismo, com’è noto, è sorto in Italia negli anni Settanta dell’Ottocento, quando in alcuni rappresentanti della classe politica liberale maturò la convinzione che di fronte ai gravi problemi del nuovo Stato e alle rilevanti tensioni sociali, occorreva una strategia unitaria, adatta a rafforzare l’opera di governo.
A farsi promotore del trasformismo fu, per primo, il leader della Sinistra e capo del governo Agostino Depretis, il quale nel famoso discorso di Stradella nel 1876 auspicò la «feconda trasformazione» dei due partiti liberali, dicendo di essere pronto ad accogliere uomini e progetti provenienti dalla Destra. Una teoria dell’amalgama in base alla quale come disse Depretis nel 1882 non si respingeva chi volesse «trasformarsi e diventare progressista».
Dopo Depretis ricorse largamente al trasformismo Giovanni Giolitti nel decennio precedente la Prima guerra mondiale, in cui tenne quasi ininterrottamente le redini del governo, caratterizzato da scandali, stabilendo intese sia con i cattolici moderati sia con i socialisti riformisti. Nel gergo parlamentare, il trasformismo indica una pratica politica che consiste nella cooptazione nella maggioranza di elementi dell’opposizione.
Oggi il termine trasformismo viene usato con una connotazione prettamente negativa. Viene infatti attribuito ad azioni chiaramente dettate dallo scopo di mantenere il potere ricorrendo a compromessi e sotterfugi politici; è la precisa dimostrazione dell’allontanamento del sistema politico dall’interesse pubblico e della scarsa moralità dei rappresentanti politici.

*Professoressa ordinario di Storia del pensiero economico

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